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LA RIVISTA AIAF 1/2024 - La Cassazione e alcuni significativi cambiamenti nel diritto delle relazioni familiari

12 giugno 2024

Generico ,

Editoriale (di Giulia Sarnari, Avvocata in Roma)

Stiamo attraversando un periodo di grande cambiamento del diritto di famiglia. La riforma Cartabia pur avendo innovato il diritto processuale e ordinamentale ha dato diversi scossoni, più o meno direttamente, anche al diritto sostanziale il quale a sua volta, pur non vedendosi più intaccato da alcuna riforma organica legislativa dagli anni ’70 del secolo scorso (ad eccezione della riforma sulla filiazione), negli ultimi anni è stato in diverse parti via via modificato da pronunce storiche della giurisprudenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte, definite autorevolmente “di sistema”.

In questo numero della rivista si è scelto di commentare alcune decisioni assunte dalle Sezioni Unite che nella attività propria di nomofilachia ha dato avvio a rivoluzionarie interpretazioni dell’esistente, ma in premessa il fascicolo si apre con l’articolo del Prof. Passaniti il quale evidenzia come il passaggio dall’isola famiglia che il diritto poteva soltanto lambire evocata da Jemolo, all’arcipelago delle famiglie è oggi divenuto un dato normativo definitivo con la riforma Cartabia che istituisce il tribunale per le persone, per i minori e per le famiglie, in una prospettiva unificante densa di significati in chiave evolutiva. E il diritto queste isole non solo è chiamato a lambirle, ma addirittura a inondarle durante la gestione della crisi, attraverso questa figura di giudice unico che dovrà ricostruire la dinamica relazionale anche nelle sue nervature emozionali, alla ricerca di soluzioni che nel fatto, e non più nella norma, trovano la fonte di ispirazione fondamentale. In questo passaggio si comprende una realtà giurisprudenziale che, nei suoi intrecci, sfugge dalle griglie fisse del diritto e che richiede un necessario lavoro di ricucitura tra elementi istituzionali e fattuali. Più che sorprendersi nel constatare i mutamenti di indirizzo giurisprudenziale che modellano il fenomeno giusfamiliare, aggiornandolo e sistemandolo, o stupirsi della deriva giurisprudenziale di una materia (ora) con un suo processo, ma con un diritto frammentato e scoordinato, l’interprete deve interrogarsi sulla distanza evidente che si è venuta a determinare tra la struttura originaria del diritto matrimoniale e il diritto dell’arcipelago familiare, fatto di tante isolette che solo la giurisprudenza attualmente può collegare, nel riferimento costituzionale ai diritti inviolabili della persona anche nella formazione sociale in cui si svolge la personalità.

Segue l’articolo dell’avv. Sertori che commenta la sentenza delle Sezioni Unite n. 32914/2022 che affronta il tema, a lungo dibattuto, del diritto alla restituzione delle somme versate dal­l’obbligato al mantenimento, in virtù di un provvedimento provvisorio, poi modificato dalla sentenza che definisce il giudizio, o di una sentenza di primo grado riformata in appello. L’autrice ripercorre le riflessioni svolte dalla Corte di legittimità sul tema della ripetibilità dei contributi economici corrisposti nei giudizi di separazione e divorzio, soffermandosi sulla dibattuta questione della natura (alimentare o meno) dei contributi al mantenimento, sull’azione di ripetizione di indebito e sulla possibilità di compensare i crediti di mantenimento con altri crediti.

L’Avv. Belman si sofferma sulla sentenza delle Sezioni Unite n. 38162/2022 ed evidenzia come in assenza di un intervento legislativo, le Sezioni Unite hanno confermato la possibilità per il genitore intenzionale di avvalersi dell’adozione in casi speciali per vedersi riconosciuto il legame genitoriale con un minore nato all’estero tramite maternità surrogata, non potendo aver luogo la trascrizione dell’atto di nascita formato all’estero che lo indica come padre per contrarietà all’ordine pubblico, essendo tale pratica di procreazione lesiva della dignità della donna. Ripercorre l’iter processuale e giurisprudenziale influente nella decisione reso, analizzando le motivazioni della pronuncia, ed evidenziando alcune criticità.

L’Avv. Figone commenta la sentenza delle Sezioni Unite n. 15889/2022 che ha composto un conflitto giurisprudenziale sulla natura della comunione de residuo, come tale intesa quella comunione che si instaura tra coniugi assoggettati al regime patrimoniale legale, nel momento dello scioglimento della comunione stessa. Rileva come le Sezioni Unite abbiano optato per la natura creditizia e non reale della comunione de residuo, attributiva di un diritto alla quota pari ad un mezzo del valore del bene comune, al netto di eventuali passività

Il Prof. Salvi nel suo articolo analizza la sentenza delle Sezioni Unite n. 32198/2021 che ha sancito come a seguito del reviremnt del 2018 in caso di nuova convivenza il coniuge beneficiario non possa perdere automaticamente il diritto all’assegno, come previsto sino ad allora, ma esso dovrà essere rimodulato, in sede di revisione, o quantificato, in sede di giudizio per il suo riconoscimento, in funzione della sola componente compensativa, purché al presupposto indefettibile della mancanza di mezzi adeguati, si sommi, nel caso concreto, il comprovato emergere di un contributo, dato dal coniuge debole con le sue scelte personali e condivise in favore della famiglia, alle fortune familiari e al patrimonio dell’altro coniuge, che rimarrebbe ingiustamente sacrificato e non altrimenti compensato, se si aderisse alla caducazione integrale automatica. L’autore non manca di evidenziare come la condivisibile decisione delle sezioni unite ponga qualche interrogativo circa la legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 10 delle legge sul divorzio che prevede che automaticamente l’obbligo di corresponsione dell’assegno cessa se il coniuge al quale deve essere corrisposto passa a nuove nozze, nella misura in cui secondo l’opzione prescelta la stessa di fatto introduce un regime differenziato per situazioni che pure condividono profili sovrapponibili o quanto meno di stretta analogia fattuale.

L’Avv. Rovacchi analizza invece la pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite n. 35835/2023 che valorizza la convivenza pre matrimoniale ai fini della determinazione dell’assegno divorzile, nel senso che in presenza di un periodo continuativo e stabile di convivenza prematrimoniale, va tenuto in conto ai fini della determinazione e della quantificazione dell’assegno divorzile in funzione compensativa anche del ruolo svolto dal coniuge più debole economicamente in quel periodo precedente il matrimonio

Il Prof. Basini ci offre, infine, un interessante spunto di riflessione sulla opportunità che si giunga anche nel nostro ordinamento ad una modifica normativa che permetta di poter accedere al divorzio senza che vi sia necessariamente una pronuncia di separazione.

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Con la sentenza 12 febbraio 2019, n. 4135 la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha sottolineato la necessità di tutelare l’affidamento di una parte che abbia conformato la propria attività processuale ad un consolidato orientamento giurisprudenziale. La tutela dell’affidamento è un’applicazione importante del principio di buona fede. Tale affidamento può essere tutelato mediante l’istituto della remissione in termini, con il quale è consentito al giudice considerare la parte ‘come se avesse agito correttamente’, con il corollario, frutto di interpretazione costituzionalmente orientata, di ritenere che si tratti di ‘decadenza non imputabile’, ma anche con applicazione del c.d. prospective overruling che nel nostro ordinamento sta ad indicare la scelta del giudice che enuncia il principio di tenere indenne la parte dalle conseguenze che implicherebbe, sul piano processuale, l’applicazione del nuovo principio di diritto, a condizione che ricorrano determinati presupposti; in alcun caso, tuttavia, lo ius superveniens nel diritto sostanziale, ad opera giurisprudenziale, può dare la stura ad una rimessione in termini o a una disapplicazione, laddove i nova interpretativi impediscono la difesa a quella parte che ha conformato la propria attività difensiva all’orientamento superato, sul cui carattere consolidato invece si poggia l’”affidamento” e apparrebbe dunque giusto ed equo escludere che i nova stessi si applichino quale parametro di giudizio, ex post, di una condotta che, quando fu tenuta, appariva ragionevolmente secundum ius. E questo perché se la creazione della norma astratta è prerogativa del legislatore, prerogativa del giudice è l’interpretazione della norma anche in conformità ai mutamenti socio culturali dell’ordinamento e privilegiare sempre e comunque l’affidamento di una parte su ciò che esiste ed è consolidato da tempo significa, come è stato acutamente osservato “tradire sempre e comunque le aspettative dell’altra verso il mutamento, obliterando che il mutamento stesso è parte fisiologica del sistema non meno che la certezza delle regole” – C. Delle Palme, Norme di diritto nel cono d’ombra del prospective overruling (a margine di un libro recente e di una recente dottrina) in Jiudcium, 17 aprile 2023.

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Del “rinvio pregiudiziale” ex art. 363 bis c.p.c. introdotto dalla riforma Cartabia si è già parlato nei precedenti numeri (in particolare nel numero 2 del 2023 troviamo l’articolo dell’Avv. Figone sulla configurazione di tale nuovo istituito e nel numero 3 del 2023 troviamo l’articolo dell’Avv. Simeone che illustra la prima decisione, la n. 29627/2023 emessa nell’ambito del diritto di famiglia all’esito di detta procedura sulla ammissibilità del cumulo della domanda di separazione e della domanda di divorzio nei giudizi congiunti). Si tratta di uno strumento processuale che consente ad un giudice del merito di rimettere una questione controversa alla Corte di Cassazione su problematiche di diritto sostanziale o processuale inedite e sulle quali la Corte stessa non si sia ancora mai pronunciata. Se da un lato a comporre i contrasti giurisprudenziali e a dare corso a nuovi indirizzi interpretativi la Cassazione interviene con le Sezioni Unite, ora ancor prima che si consolidi un contrasto la Corte di Cassazione è chiamata a dirimere la questione che si palesa controversa. E sulla significatività di tale nuovo istituto processuale rilevano le parole dell’Avvocata Generatele dello Stato, Rita Sanlorenzo pronunciate nelle conclusioni rassegnate il 21 marzo 2024 nel giudizio n. 1976/2023 ex art. 363 bis c.p.c. relativamente alla questione concernente la reclamabilità del provvedimento indifferibile adottato dal Giudice delegato alla trattazione del merito ex art. 473 bis.14 c.p.c., in esito all’udienza per conferma, revoca o modifica del decreto assunto inaudita altera parte, ex art. 473 bis.15 c.p.c.: «… il rinvio pregiudiziale presenta in sé la potenzialità, che va dunque favorita, di costituire “una importante bussola operativa nella ricerca (ragionata e collaborante tra i giudici di merito e la corte di cassazione) di eventuali soluzioni che, attinenti al giudizio ed affrontate a tempo debito, eviterebbero la inutile dispersione della questione giuridica centrale in rivoli interpretativi non sempre finalizzati all’inquadramento sistematico”. È indubbio infatti che attraverso l’introduzione del rinvio pregiudiziale viene perseguito e coltivato l’obbiettivo di una ulteriore espansione della funzione nomofilattica-uniformatrice della S.C., non solo secondo un’ottica meramente deflattiva rispetto alla generalità del contenzioso, ed in particolare di quello comunque destinato a giungere avanti alla Corte di cassazione, ma anche secondo un’ispira­zione più complessiva, in grado di giovare all’intero sistema, apportando ulteriori elementi di razionalità e di coerenza. Il Legislatore, d’altronde, ha subordinato l’esercizio del potere di rinvio pregiudiziale a tre precisi presupposti giuridici, tra i quali senz’altro spicca quello della novità della questione e del fatto che la si valuti necessaria alla definizione anche parziale del giudizio (n. 1 del co. 1 dell’art. 363 bis c.p.c.): a questo poi vengono associati il carattere della gravità delle difficoltà interpretative che presenta e della sua potenzialità a riproporsi (nn. 2 e 3 del co. 1). È già stato rilevato che nel concetto di “definizione” del giudizio rientrano a pieno titolo tutti quei provvedimenti i quali, benché non ascrivibili alla fase decisoria, comunque assumono un indiscutibile rilievo nell’ottica di definizione anche parziale del giudizio: si tratta di provvedimenti variegati che, “per natura e struttura (es. esecutorietà del decreto ingiuntivo, sospensione del provvedimento impugnato, adozione di ordinanza-ingiunzione), incidono sul complessivo procedimento e lo caratterizzano imprimendogli una direzione piuttosto che un’altra così da assumere significativa rilevanza giuridica per la stessa decisione e/o per l’intero procedimento in cui si innestano».

A seguire pubblichiamo sia la prima decisione a seguito del rinvio pregiudiziale in Cassazione nell’ambito del diritto processuale di famiglia come modificato dalla riforma Cartabia, la n. 28727/2023 sulla ammissibilità del cumulo della domanda di separazione con quella di divorzio anche in sede di accordo, che la seconda decisione della Suprema Corte, la n. 11688/2024, sulla ammissibilità della impugnazione avverso i provvedimenti indifferibili adottati a seguito della adozione di provvedimenti indifferibili ex art. 376 bis n. 15 c.p.c.


Cass. civ., Sez. I, sent. (data ud. 06/10/2023) 16/10/2023, n. 28727


REPUBBLICA ITALIANA


IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE


SEZIONE PRIMA CIVILE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:


Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente – Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –


Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –


Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere – Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –


ha pronunciato la seguente:


SENTENZA


sul ricorso n. 11906/2023 proposto da:


Tribunale di Treviso con ordinanza del 31 maggio 2023, nel procedimento su domanda congiunta promosso da:


A.A. E B.B., domiciliati ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati D’ANGELO INNOCENZO (DNGNCN
57L17E098L);


– ricorrenti –


Udita la relazione svolta alla pubblica udienza del 06/10/2023 dal Consigliere GIULIA IOFRIDA. Udito il P.M., in persona dell’Avvocata Generale Rita Sanlorenzo, la quale ha concluso riportandosi alla requisitoria scritta;

sentito l’Avv.to D’Angelo per i ricorrenti

Svolgimento del processo

I coniugi A.A. E B.B., con ricorso congiunto depositato il 15/5/2023, dinanzi al Tribunale di Treviso, hanno chiesto di pronunciare la loro separazione personale e dare le consequenziali disposizioni relative all’affido e alla collocazione della loro figlia minorenne e al contributo economico del genitore non collocatario in favore di quest’ultima e del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente. Con lo stesso ricorso le parti hanno chiesto al Tribunale di pronunciare, decorso il periodo di tempo previsto dall’art. 3 della legge n. 898/1970 e previo il passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia la separazione personale, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio alle stesse condizioni richieste per la separazione personale, ordinando all’ufficiale dello stato civile di procedere al­l’annotazione della sentenza.

All’udienza fissata per la comparizione delle parti, il giudice delegato dal Presidente del Tribunale ha prospettato ai coniugi l’esistenza di una questione pregiudiziale di puro diritto, relativa all’ammissibilità, in rito, del cumulo oggettivo della domanda congiunta di separazione personale con quella, parimenti congiunta, di divorzio, riservandosi di riferirne al collegio.

Con ordinanza di rinvio pregiudiziale del 31 maggio 2023, il Tribunale di Treviso ha investito la Suprema Corte di Cassazione della questione di rito relativa all’ammissibilità del cumulo oggettivo delle domande congiunte di separazione e divorzio.

Con decreto della Prima Presidenza in data 14 giugno 2023, ai sensi dell’art. 363 bis c.p.c., la questione è stata assegnata alla prima sezione civile, per l’enunciazione del correlato principio di diritto.

È stata fissata per la trattazione l’udienza pubblica del 6/10/2023.

Il P.G. ha depositato memoria, concludendo perché questa Corte formuli il principio di diritto secondo il quale è ammissibile il cumulo, in caso di ricorso consensuale, delle domande di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti ci matrimonio.

In data 6/9/23 i sig.ri A.A. e B.B. hanno depositato memoria di costituzione. All’udienza pubblica del 6/10/2023, sono stati sentiti il P.G. e il difensore delle parti.


Motivi della decisione

1. Due importanti novità introdotte con la recente Riforma c.d., Cartabia, di cui al d.lgs. n. 149/2022, vengono al vaglio di questo giudice di legittimità.

1.1. La prima è rappresentata dall’istituto del cd. rinvio pregiudiziale da parte del giudice di merito.

Si tratta di uno strumento già presente in altri ordinamenti stranieri, in particolare in quello francese, consistente nella possibilità per il giudice di merito di sottoporre direttamente alla Suprema Corte una questione di diritto, sulla quale deve decidere e in relazione alla quale ha preventivamente provocato il contraddittorio tra le parti.

Non essendo presente nell’ordinamento italiano alcun istituto volto a fornire una visione globale del contenzioso emergente nei tribunali e nelle corti d’appello, anticipando il possibile contenzioso futuro dinanzi al giudice di legittimità, tenendo conto dell’eventuale carattere seriale delle controversie, per poterne assicurare una trattazione congiunta, al fine di colmare questa lacuna, il legislatore italiano ha sentito la necessità di un maggior raccordo tra questa Corte e i giudici di merito. Per questo motivo, la lett. g) del comma 9 dell’articolo unico della legge delega n. 206 del 2021 ha demandato al legislatore delegato di introdurre la possibilità che “il giudice di merito”, quando deve decidere una questione di diritto, possa sottoporre d’ufficio direttamente la questione alla Corte di cassazione per la risoluzione del quesito di diritto. La legge delega, poi, ha delimitato il tipo di questione che il giudice può sottoporre alla Suprema Corte, precisando che deve trattarsi di una questione:

a) esclusivamente di diritto; b) nuova, non essendo stata ancora affrontata dalla Corte di cassazione; c) di particolare importanza; d) con gravi difficoltà interpretative; e) tale da riproporsi in numerose controversie.

È, altresì, necessario che la questione sia stata preventivamente sottoposta al contraddittorio delle parti.

In attuazione del principio di delega, il legislatore delegato, con il D.Lgs. n. 149 del 2022, ha introdotto l’art. 363 bis c.p.c., rubricato “Rinvio pregiudiziale”, prevedendo che il giudice, con ordinanza e dopo aver sentito le parti costituite, possa disporre il rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte di cassazione per la risoluzione di una questione esclusivamente di diritto.

Il comma 1 dell’art. 363 bis c.p.c. elenca le caratteristiche che la questione di diritto deve avere, per l’utile accesso allo strumento in esame e segnatamente che: 1) la questione sia necessaria alla definizione anche parziale del giudizio e non sia stata ancora risolta dalla Corte di cassazione; 2) la questione presenti gravi difficoltà interpretative; 3) sia suscettibile di porsi in numerosi giudizi.


Il comma 2 prevede che l’ordinanza debba essere motivata (analogamente a quelle con cui viene sollevata una questione di legittimità costituzionale) e, in particolare, con riferimento al requisito delle gravi difficoltà interpretative, si richiede che venga data indicazione delle diverse interpretazioni possibili.

Alla luce di tale specificazione, si evince che la questione di diritto che presenta gravi difficoltà interpretative sia quella per la quale sono possibili diverse opzioni interpretative, tutte parimenti attendibili. Il deposito dell’ordinanza che dispone il rinvio pregiudiziale comporta, inoltre, la automatica sospensione del procedimento di merito, ma la disposizione fa salvo il compimento degli atti urgenti e dell’attività istruttoria non dipendente dalla soluzione della questione oggetto del rinvio pregiudiziale.

Il comma 3, infine, introduce una sorta di filtro delle ordinanze di rimessione da parte del Primo presidente della Corte di cassazione, il quale, ricevuti gli atti, entro il termine di novanta giorni, valuta la sussistenza dei presupposti previsti dalla norma. In caso di valutazione positiva, assegna la questione alle sezioni unite o alla sezione semplice (secondo le ordinarie regole di riparto degli affari); mentre in caso di valutazione negativa, dichiara inammissibile la questione con decreto. Tale meccanismo conferma che lo strumento non integra un mezzo di impugnazione.

Trattandosi di questioni rilevanti, si è previsto che la Corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronunci sempre in pubblica udienza con la requisitoria scritta del pubblico ministero e con la facoltà per le parti di depositare brevi memorie, nei termini di cui all’art. 378 c.p.c. Una volta superato il vaglio di ammissibilità, il procedimento si conclude con l’enunciazione del principio di diritto da parte della Corte, espressamente previsto come vincolante nel giudizio nell’ambito del quale è stata rimessa la questione. Qualora, poi, tale giudizio si estingua, l’ultimo comma dell’articolo in esame estende il vincolo del principio di diritto enunciato dalla Corte anche al nuovo processo instaurato tra le stesse parti, con la riproposizione della medesima domanda.

Questo aspetto rappresenta uno dei più rilevanti profili di differenza tra l’istituto italiano e quello francese della saisine pour avis. (art. L. 441-1 del codice di organizzazione giudiziaria francese): mentre nell’ordinamento francese la Corte di cassazione esprime semplicemente un parere sulla questione sollevata, non vincolante per il giudice di merito, il principio di diritto enunciato dalla Corte Suprema italiana, ai sensi dell’art. 363 bis c.p.c., non si limita ad un mero parere, ma vincola la decisione del giudice di merito, che ha sollevato la questione, e tutti i giudici che interverranno nel medesimo procedimento.

La finalità del nuovo istituto è prettamente deflativa e viene perseguita attraverso l’enunciazione di un principio di diritto, che può costituire un precedente in una serie di giudizi, accomunati dalla difficoltà interpretativa di una disposizione nuova o sulla quale non si è ancora formato un univoco orientamento giurisprudenziale. Si è rilevato in dottrina che il nuovo istituto tende a realizzare una sorta di anomofilachia preventiva, allo scopo di pervenire ad indirizzi giurisprudenziali uniformi, considerato che la prevedibilità della decisione oggi deve essere considerata come un “valore”, che si riflette sulla certezza del diritto, sulla tutela dei cittadini che vi fanno affidamento e sulla effettività del principio di uguaglianza, che impone uniforme trattamento, anche giurisdizionale, di fronte a casi simili.

In definitiva, oggetto del rinvio deve essere una questione esclusivamente di diritto (di merito, ma anche di rito), rilevante, in quanto necessaria per la risoluzione, anche parziale, della controversia pendente dinanzi al giudice remittente, e nuova, da intendersi nel senso che non sia stata ancora “risolta” dalla Corte di cassazione; la questione sollevata con il rinvio pregiudiziale deve inoltre presentare “gravi difficoltà interpretative”, tanto da essere richiesto che l’ordinanza, che dispone il rinvio pregiudiziale, rechi la specifica indicazione delle diverse interpretazioni possibili. è pertanto, necessario che il giudice di merito remittente esamini tutte le interpretazioni alternative, evidenziandone i contrasti e la grave difficoltà per la loro risoluzione; in ultimo, è necessario che la questione sia “suscettibile di porsi in numerosi giudizi”, ciò ricollegandosi alla funzione deflattiva dell’istituto.

1.2. La seconda novità che giunge all’attenzione di questa Corte è rappresentata dal disposto dell’art.  473 bis.49 c.p.c., che ha effetto a decorrere dal 28/2/2023 e si applica ai procedimenti instaurati successivamente a tale data, ai sensi dell’art. 35 comma 1 D.Lgs. n. 149/2022.

Il D.Lgs. n. 10 ottobre 2022, n. 149, ha introdotto la facoltà di presentare contestualmente la domanda di separazione e quella di divorzio, pur restando la seconda procedibile unicamente decorso il termine a tal fine previsto dalla legge (6 o 12 mesi, secondo i casi, in ragione della procedura consensuale o contenziosa, ai sensi dell’art. 3 della legge sul divorzio).

Nel libro secondo (dedicato al processo di cognizione), all’interno del Titolo IV bis (Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie), Sezione II (dedicata ai “procedimenti di separazione, di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento dell’unione civile e di regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, nonché di modifica delle relative condizioni”) del Capo II, l’art. 47-bis.49 (Cumulo di domande di separazione e scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio), così recita: “Negli atti introduttivi del procedimento di separazione personale le parti possono proporre anche domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio e le domande a questa connesse. Le domande così proposte sono procedibili decorso il termine a tal fine previsto dalla legge, e previo passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia la separazione personale. Se il giudizio di separazione e quello di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio sono proposti tra le stesse parti davanti a giudici diversi, si applica l’artico/o 40. In presenza di figli minori, la rimessione avviene in favore del giudice individuato ai sensi dell’articolo 473-bis. 11, primo comma. Se i procedimenti di cui al secondo comma pendono davanti allo stesso giudice, si applica l’articolo 274. La sentenza emessa all’esito dei procedimenti di cui al presente articolo contiene autonomi capi per le diverse domande e determina la decorrenza dei diversi contributi economici eventualmente previsti”.

L’art. 473-bis.51 (Procedimento su domanda congiunta stabilisce che: “La domanda congiunta relativa ai procedimenti di cui all’artico/o 473-bis.47 – domande di separazione personale dei coniugi, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, scioglimento dell’unione civile e regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio, nonché per quelle di modifica delle relative condizioni – si propone con ricorso al tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell’una o dell’altra parte. Il ricorso è sottoscritto anche dalle parti e contiene le indicazioni di cui all’articolo 473-bis.12, primo comma, numeri 1), 2), 3) e 5), e secondo comma, e quelle relative alle disponibilità reddituali e patrimoniali dell’ultimo triennio e degli oneri a carico delle parti, nonché le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici. Con il ricorso le parti possono anche regolamentare, in tutto o in parte, i loro rapporti patrimoniali. Se intendono avvalersi della facoltà di sostituire l’udienza con il deposito di note scritte, devono farne richiesta nel ricorso, dichiarando di non volersi riconciliare e depositando i documenti di cui all’articolo 473-bis.13, terzo comma. A seguito del deposito, il presidente fissa l’udienza per la comparizione delle parti davanti al giudice relatore e dispone la trasmissione degli atti al pubblico ministero, il quale esprime il proprio parere entro tre giorni prima della data dell’udienza. All’udienza il giudice, sentite le parti e preso atto della loro volontà di non riconciliarsi, rimette la causa in decisione. Il giudice può sempre chiedere i chiarimenti necessari e invitare le parti a depositare la documentazione di cui all’articolo 473-bis.12, terzo comma. Il collegio provvede con sentenza con la quale omologa o prende atto degli accordi intervenuti tra le parti. Se gli accordi sono in contrasto con gli interessi dei figli, convoca le parti indicando loro le modificazioni da adottare, e, in caso di inidonea soluzione, rigetta allo stato la domanda. In caso di domanda congiunta inirenti all’esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti dei figli e ai contributi economici in favore di questi o delle parti, il presidente designa il relatore che, acquisito il parere del pubblico ministero, riferisce in camera di consiglio. Il giudice dispone la comparizione personale delle parti quando queste ne fanno richiesta congiunta o sono necessari chiarimenti in merito alle nuove condizioni proposte”.

Il legislatore, quindi, ha espressamente previsto l’ammissibilità della domanda cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, nell’art. 473-bis.49 c.p.c., con riferimento al giudizio contenzioso (subordinando, come è naturale e giusto che sia, la procedibilità del divorzio al ricorrere dei presupposti indicati dall’art. 3, comma 1, n. 2, lett. b, I. div.), mentre analoga previsione non è stata riportata nell’art. 47 3-bis.51 c.p.c., norma dedicata al “procedimento su domanda congiunta”, che detta una specifica disciplina relativa a tutti i procedimenti di cui all’art. 473-bis.47 c.p.c. (e dunque separazione, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, scioglimento dell’unione civile e regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, nonché di modifica delle relative condizioni), laddove presentati in forma congiunta.

È utile rammentare che, nel regime vigente ante Riforma 2022, il procedimento (artt. 711 c.p.c. e 158 e.e.) su domanda giudiziale di separazione consensuale (essendo stata introdotta con il d.lgs. n. 132/2014, conv. in L. n. 162/2014, anche la possibilità per i coniugi di presentare una richiesta congiunta all’Ufficiale di Stato civile o di stipulare un accordo di separazione con l’assistenza degli avvocati) inizia con ricorso, contenente l’accordo dei coniugi sulla decisione di separarsi e sulla eventuale regolamentazione dei rapporti reciproci e di quelli con i figli, atto di natura negoziale, produttivo di effetti con il decreto di omologazione da parte del Tribunale, e si articola in due fasi: la prima dinanzi al Presidente del Tribunale, ove vengono sentite entrambe le parti e viene tentata la conciliazione, con rimessione al collegio della causa, in caso di fallimento del tentativo di conciliazione; la seconda, dinanzi al collegio, in camera di consiglio, che si conclude con il decreto di omologazione o con il rifiuto “allo stato” del­l’omologazione, quando si ravvisi nel contenuto negoziale un pregiudizio dell’interesse dei figli. Il procedimento abbreviato di divorzio dettato dall’art. 4, comma 16, D. n. 898/1970, abrogato con il d.lgs. n. 149/2022, su domanda congiunta dei coniugi (essendosi introdotta, sempre con il d.lgs. n. 132/2014, limitatamente al caso in cui lo scioglimento del matrimonio dipenda da separazione legale protrattasi per il tempo previsto, una procedura stragiudiziale, con richiesta congiunta espressa davanti all’ufficiale di stato civile oppure con ricorso alla negoziazione assistita) si svolge in camera di consiglio: il Tribunale, sentiti i coniugi, deve verificare la sussistenza di una delle cause previste dalla legge per giustificare lo scioglimento del matrimonio (e in ciò la differenza rispetto al procedimento di separazione consensuale) e valutare se le condizioni pattuite non contrastino con l’interesse dei figli, e si conclude con sentenza, in caso di esito positivo di detto vaglio; se il Tribunale ritiene che l’accordo contrasta con l’interesse dei figli, il procedimento verrà trasformato in quello ordinario, operando il comma 8 dell’art. 4, secondo il quale, fallito il tentativo d conciliazione tra i coniugi o se non compare il coniuge convenuto, il Presidente del Tribuna le, dinanzi al quale le parti devono comparire personalmente, pronuncia i provvedimenti temporanei ed urgenti nell’interesse dei coniugi e/o dei figli, nomina il giudice istruttore e fissa l’udienza di comparizione e trattazione dinanzi a quest’ultimo).

1.3. La questione di diritto posta dall’ordinanza del Tribunale di Treviso, nell’ambito di un giudizio instaurato nel maggio 2023, promosso su domanda congiunta dei coniugi, al fine di sentire pronunciare la loro separazione personale alle condizioni concordate e, decorso il periodo di tempo previsto dall’art. 3 della legge n. 898/1970 e previo il passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia la separazione personale, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, attiene per l’appunto al problema della cumulabilità, in un simultaneus processus, delle domande di separazione e divorzio, che già ha trovato soluzioni contrastanti nella giurisprudenza di merito che per prima se ne è occupata, come indicato nell’ordinanza del Tribunale di Treviso.

Nell’ordinanza viene evidenziata la presenza di gravi difficoltà interpretative, attesa la sussistenza di posizioni contrastanti, sia nella giurisprudenza di merito, sia in dottrina in relazione all’ammissibilità del cumulo delle domande proposte in via consensuale. Il Tribunale di Treviso ha, pertanto, richiamato l’emersione di due diversi orientamenti: uno favorevole all’ammissibilità del cumulo delle domande di separazione personale e divorzio in procedimenti non contenziosi; l’altro contrario all’ammissibilità del cumulo, incentrato sull’essere tale facoltà riservata dalla legge alle sole ipotesi di procedimento contenzioso.

2. I diversi orientamenti che si sono espressi, a livello giurisprudenziale [con provvedimenti giurisdizionali o comunicazioni di carattere organizzativo da parte dei Presidenti degli uffici giudiziari:

a) a favore dell’ammissibilità del cumulo, tra gli altri, i Tribunali di Genova, Milano, Vercelli, Lamezia Terme; b) in senso contrario, i Tribunali di Bari, Padova e Firenze] e dottrinale, hanno utilizzato criteri letterali e sistematici di interpretazione.

Quanto al criterio letterale, da una parte, si è osservato che l’art. 473 bis.51 c.p.c. non prevede espressamente la possibilità di realizzare il cumulo oggettivo di domande congiunte, a differenza di quanto invece e previsto, per le domande contenziose, dall’art. 473 bis.49 c.p.c. Sulla scorta di tale osservazione, si è dunque concluso che “ubi/ex non dixit, non voluit”.

Si è, di contro, osservato, sempre su un piano letterale, che il riferimento, contenuto nel primo comma dell’art. 473 bis. 51 c.p.c., alla “domanda congiunta relativa ai procedimenti di cui all’art. 473 bis.47”, sarebbe un indizio nel senso dell’ammissibilità del cumulo.

In altre parole, se il legislatore avesse inteso escludere il cumulo, non avrebbe usato il plurale (“... relativa ai procedimenti di cui all’art. 473 bis.47”), ma si sarebbe riferito ad “uno dei procedimenti di cui all’art. 473 bis.47”.

Da un punto di vista sistematico: (a) sostenitori della tesi contraria all’ammissibilità hanno evidenziato che l’idea del cumulo è incompatibile con la natura di procedimento di volontaria giurisdizione che avrebbe quello scaturente dalla domanda congiunta dei coniugi (in particolare, si è detto che il processo volontario non potrebbe contenere una sentenza non definitiva, seguita da un rinvio per verificare la sussistenza, a distanza di sei mesi, delle condizioni di procedibilità e quindi da una sentenza definitiva sullo scioglimento del vincolo matrimoniale) e si è rilevato che il risparmio di energie processuali che si ottiene nel giudizio contenzioso non è – di fatto – comparabile con quello che si potrebbe astrattamente conseguire nel procedimento di cui all’art. 473-bis.51 c.p.c., essendo profondamente diversa la natura dei due giudizi, nonché l’attività processuale che negli stessi viene compiuta (in sostanza, si assume che, laddove si consentisse il cumulo delle domande nel procedimento congiunto si otterrebbe l’effetto contrario, provocando un allungamento della durata del procedimento, ora definibile nel giro di pochi giorni dal deposito, in quanto, in caso di cumulo delle domande, il medesimo procedimento resterebbe pendente per tutto il tempo necessario al maturare dei presupposti per il divorzio); (b) le pos1z1oni aperte all’ammissibilità hanno, invece, obiettato che la compatibilità strutturale del cumulo con un determinato procedimento deve essere vista in concreto, non sulla base della qualificazione astratta della natura di tale procedimento e che anche il procedimento a domanda congiunta è ormai interamente definito con sentenza (art. 47 3-bis.51, comma 4, c.p.c.), con la conseguente possibilità di applicare l’art. 279 c.p.c., pronunciando sentenza non definitiva (art. 279, comma 2, n. 4 c.p.c.) o anche definitiva (art. 279, comma 2, n. 5 c.p.c.) su una delle domande congiunte di separazione e divorzio.

Un ulteriore argomento, evocato dai sostenitori della tesi contraria al cumulo in caso di domande consensuali, è il tema dell’indisponibilità dei diritti oggetto degli accordi: questi ultimi sarebbero dei “patti prematrimoniali” volti a incidere sugli effetti dell’eventuale futuro divorzio e quindi nulli, ai sensi dell’art. 160 e.e., vieppiù se si considera che essi avrebbero ad oggetto diritti che, oltre ad essere indisponibili, non sarebbero ancora sorti. Secondo tale impostazione, dunque, i due procedimenti in esame non potrebbero essere assimilati, sia dal punto di vista funzionale sia dal punto di vista strutturale: con riguardo al cumulo della domanda di separazione con quella di divorzio, si osserva che nei procedimenti contenziosi le parti non stabiliscono, pattuendoli tra loro, gli effetti discendenti dalle rispettive domande, ma si limitano a chiedere al tribunale di procedere congiuntamente alla trattazione e all’istruttoria delle stesse, decidendo su entrambe, mentre nei procedimenti instaurati con ricorso congiunto delle due parti le stesse disciplinerebbero contemporaneamente i diritti conseguenti ad entrambi gli status, in netto contrasto con la costante giurisprudenza di legittimità, che qualifica come nullo, ai sensi dell’art. 160 e.e. (in forza del quale gli sposi non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio), l’accordo che, m sede di separazione, contenga patti volti a regolare gli effetti dello scioglimento del vincolo matrimoniale.

In ultimo, si pone l’accento sull’assenza di disposizioni destinate a gestire le “sopravvenienze” con riferimento al cumulo di domande congiunte. Mentre l’adattamento del processo contenzioso alle sopravvenienze sarebbe garantito dal disposto dell’art. 473-bis.19 , secondo comma, c.p.c. (“Le parti possono sempre introdurre nuove domande e nuovi mezzi di prova relativi all’affidamento e al mantenimento dei figli minori. Possono altresì proporre, nella prima difesa utile successiva e fino al momento della precisazione delle conclusioni, nuove domande di contributo economico in favore proprio e dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente e i relativi nuovi mezzi di prova, se si verificano mutamenti nelle circostanze o a seguito di nuovi accertamenti istruttori”), che offre la possibilità alle parti (i coniugi) di modificare e meglio calibrare il contenuto delle domande e delle difese nel caso in cui si verifichino “mutamenti nelle circostanze” (mentre il comma 29 affida la modificabilità dei provvedimenti giurisdizionali già adottati, a tutela dei minori e in materia di contributi economici, al sopravvenire di “giustificati motivi”).

Analoga disposizione non vi sarebbe con riferimento al cumulo di domande congiunte.

Il Tribunale di Treviso, alla luce di tali considerazioni, ritiene opportuno che questa Corte pronunci il principio di diritto al fine di evitare la persistenza di filoni giurisprudenziali di merito discordanti.

3. Il P.G. ritiene ammissibile il cumulo delle domande di separazione e scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio nel caso di proposizione cumulativa delle stesse domande in via consensuale.

Da un punto di vista letterale, si rileva che il legislatore, pur avendo disciplinato in maniera espressa unicamente il cumulo delle domande nell’ambito dei procedimenti contenziosi, ha fatto riferimento (art. 473-bis.51) all’unicità del ricorso nel caso del procedimento su domanda congiunta e ha utilizzato il plurale (“relativo ai procedimenti”, in luogo di “relativo al procedimento”), dovendosi interpretare tale disposizione quali elemento favorevole all’ammissibilità del cumulo.

Altro elemento a favore dell’ammissibilità del cumulo, dovrebbe rinvenirsi nella ratio sottesa all’intro­duzione dello stesso per i procedimenti contenziosi, in quanto anche la proposizione cumulativa delle domande congiunte di separazione e divorzio realizza quel “risparmio di energie processuali” alla base della previsione dell’art. 47 3-bis.49 c.p.c. Le parti, infatti, “data l’irreversibilità della crisi matrimoniale, potrebbero voler concentrare e concludere in un’unica sede e con un unico ricorso la negoziazione delle modalità di gestione complessiva di tale crisi e la definizione, benché progressiva, della stessa”.

Quanto poi al tema dell’indisponibilità dei diritti oggetto degli accordi, i quali sarebbero nulli ai sensi dell’art. 160 e.e., poiché avrebbero ad oggetto diritti che, oltre ad essere indisponibili, non sarebbero ancora sorti, si evidenzia, nella requisitoria, che “i coniugi che propongono due domande congiunte di separazione e divorzio, cumulate in simultaneus processus, non concludono, in sede di separazione, un accordo sugli effetti del loro eventuale futuro divorzio, tale da condizionare la volontà di un coniuge o da comprimere i suoi diritti indisponibili”.

Si rileva, infine, che il verificarsi di sopravvenienze di fatto che incidano sull’accordo concluso contenuto nella domanda congiunta di divorzio può avvenire anche nel caso in cui le domande di separazione e divorzio non siano proposte in cumulo, non potendosi considerare un impedimento “il semplice dilatarsi dell’arco temporale tra il deposito del ricorso e la sentenza che pronuncia il divorzio”. In conclusione, ad avviso della Procura Generale, non si riscontrano ragioni che possano giustificare una disparità di trattamento tra il giudizio contenzioso e quello su istanza congiunta.

4. In via preliminare, la specifica questione di diritto risulta pienamente ammissibile, come già risolto sulla base di un controllo prima facie: trattasi di questione rilevante nel giudizio in cui è stata sollevata perché pregiudiziale rispetto all’accoglimento delle conclusioni rassegnate dalle parti – dovendo, in caso di soluzione negativa, la domanda relativa allo scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio essere dichiarata inammissibile –, che involge il rito e l’interpretazione di norme processuali, dettate dal legislatore del 2022 in sede di Riforma del processo della famiglia, quindi di questione di diritto, di rilievo nomofilattico, perché destinata a riprodursi in una serie di controversie, non ancora “risolta” da questo giudice di legittimità e caratterizzata da gravi difficoltà interpretative, come manifestato dal contrasto insorto, in sede di prima attuazione della Riforma, tra i giudici di merito.

5. Al fine di risolvere la questione interpretativa in oggetto è, anzitutto, utile un richiamo alla ratio della novità legislativa introdotta con l’art. 473-bis.49, con la previsione del cumulo delle domande di separazione e divorzio nei procedimenti contenziosi.

Orbene, nella relazione illustrativa al decreto legislativo n. 149 del 2022, si evidenzia la “necessità di dettare disposizioni che possano prevedere un coordinamento tra i due procedimenti, nonché ove opportuna la loro contemporanea trattazione”.

Vengono, dunque, in rilievo, due profili: il primo, riguardante il “risparmio di energie processuali” realizzato con il simultaneus processus relativo a pretese identiche o implicanti accertamenti di fatto comuni o comunque almeno in parte rilevanti per entrambi i processi; l’altro, riguardante 11 coordinamento delle aec1s1orn rese nei distinti giudizi.

Una parte della dottrina ha messo in risalto le grandi difficoltà pratiche e tecniche derivanti dall’esisten­za di due distinti procedimenti, che, anche nel loro articolarsi lungo il percorso delle impugnazioni, danno luogo a una sequela di decisioni provvisorie e definitive che si rincorrono nel tempo e che possono “dettare una difforme disciplina dei rapporti controversi con conseguenze di non agevole governo, sia sul piano sostanziale (si pensi al problema della ripetibilità delle somme), sia sul piano processuale (si pensi alle alterne sorti del titolo esecutivo)”. In questa prospettiva, il nuovo art.

47 3-bis.49 c.p.c. cercherebbe di mitigare tali difficoltà di coordinamento dovute alla possibile sovrapposizione di giudizi volti a regolare lo sviluppo in progressione di una medesima crisi familiare, all’in­segna di una più efficace tutela giurisdizionale dei diritti (art. 24, comma 1, Cost.).

Inoltre, il “risparmio di energie processuali” che si ottiene nel giudizio contenzioso non sarebbe affatto comparabile con quello che si potrebbe conseguire con il cumulo di domande congiunte, di cui all’art. 47 3-bis.51 c.p.c., essendo profondamente diversa la natura dei due giudizi e l’attività processuale che in essi viene compiuta.

Sulla base di tali rilievi, da taluni si è negato che – ai fini dell’ammissibilità del cumulo di domande congiunte – ricorra la stessa ratio sottesa alla previsione espressa di ammissibilità del cumulo rispetto alle domande contenziose.

Deve, tuttavia, rilevarsi che le novità introdotte con l’art. 473-bis.49 c.p.c. rispetto alla disciplina previgente dei rapporti tra il processo di separazione giudiziale e quello di divorzio sono essenzialmente due: 1) la prevalenza data alle ragioni di connessione, rispetto al criterio della competenza per territorio inderogabile (art. 28 c.p.c., in relazione alle cause previste nei nn. 2 e 3 dell’art. 70 c.p.c.), tale da rendere poss1b1le l’attrazione a del giudizio di separazione, adito preventivamente (art. 40 c.p.c.), anche del giudizio di divorzio per il quale sia competente, in base alle regole dell’art. 473-bis.47 c.p.c., un diverso foro; 2) l’ammissibilità del cumulo oggettivo delle domande contenziose di separazione e divorzio.

Orbene, se la prima delle due novità non può avere alcuna incidenza sui procedimenti a domanda congiunta, non potendo sostanzialmente, attesa in primis la ontologica speditezza degli stessi, verificarsi una contemporanea pendenza presso distinti tribunali tra il procedimento di separazione consensuale e quello di divorzio congiunto, la seconda novità non è strutturalmente incompatibile con i procedimenti a domanda congiunta.

Invero, il cumulo oggettivo di domande anche tra loro non connesse per titolo o petitum esiste da sempre nel nostro ordinamento processual-civilistico (artt. 10, 104 c.p.c.), ed è espressione di un principio generale relativo all’esercizio dell’azione (titolo IV del libro I del codice di rito) e l’introduzione dell’art. 473-bis.49 c.p.c. ha “normativizzato, in subiecta materia, il cumulo condizionale cd. successivo”.

La possibilità, infatti, di realizzare il cumulo anche tra domande “non altrimenti connesse” è positivamente apprezzata dall’ordinamento (art. 104, comma I, c.p.c.) perché consente un “risparmio di energie processuali” inteso come concentrazione in un’unica sede processuale delle attività volte alla trattazione e alla decisione di diverse domande. La parte a ciò interessata potrà proporre, insieme con la domanda di separazione personale, anche la domanda di divorzio, senza condizionarne, volontariamente ed esplicitamente, la trattazione al passaggio in giudicato della sentenza sulla domanda di separazione e al decorso del periodo di separazione minimo previsto dalla legge: il cumulo sarà già condizionato ex lege.

Da un punto di vista sistematico, con riferimento ai principi generali, non si rinvengono ostacoli alla ammissibilità del cumulo anche con riferimento alle domande congiunte di separazione e divorzio: la trattazione della domanda congiunta di divorzio sarà condizionata all’omologazione (con sentenza passata in giudicato) della separazione consensuale, oltre che al decorso del termine minimo di separazione (sei mesi) previsto dalla legge, ed avverrà con il rito “comune” di cui all’art. 47 3-bis.51

c.p.c. Né può dirsi che la proposizione cumulativa delle domande congiunte di separazione e divorzio non realizzi quel “risparmio di energie processuali” nel quale consisterebbe una delle rationes della previsione dell’art. 473-bis.49 c.p.c.: trovare per le parti, a fronte della irreversibilità della crisi matrimoniale, in un’unica sede, un accordo complessivo sia sulle condizioni di separazione che sulle condizioni di divorzio, concentrando in un unico ricorso l’esito della negoziazione delle modalità di gestione complessiva di tale crisi, disciplinando una volta per tutte i rapporti economici e patrimoniali tra loro e i rapporti tra ciascuno di essi e i figli minorenni o maggiorenni non ancora autosufficienti, realizza indubbiamente un “risparmio di energie processuali” che può indurre le stesse a far ricorso al predetto cumulo di domande congiunte.

Né rappresenta una ragione ostativa il rallentamento dovuto ai tempi di definizione del processo perché le parti dovrebbero attendere il termine di sei mesi previsto dalla legge e il tribunale dovrebbe quindi rinviare a data successiva a una tale scadenza, trattandosi, infatti, di uno spazio di tempo che i coniugi devono comunque rispettare anche con l’opposta soluzione, e anzi con l’aggravio di dover riaprire un procedimento, introducendolo ex novo, con il provvedere a tutte le nuove incombenze a questo legate e di attendere gli ulteriori tempi ad esso correlati per la fissazione di udienza dopo la proposizione del ricorso per divorzio congiunto.

Il Tribunale, all’esito del positivo esame della domanda di separazione personale, con sentenza (che non definirà, quindi, tutte le domande proposte, il cui dispositivo, una volta passata in giudicato, sarà trasmesso in copia autentica all’Ufficiale di Stato civile per le debite annotazione e gli ulteriori incombenti di legge), provvederà, in relazione alla congiunta domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, non ancora procedibile, prima che sia decorso il termine indicato dall’art. 3, n. 2, lett. b), l. n. 898/1970, a rimettere la causa, con separata ordinanza, dinanzi al giudice relatore perché questi acquisisca la dichiarazione delle parti di non volersi riconciliare e la conferma da parte delle stesse delle condizioni già formulate con riferimento allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Giova osservare che la novità più rilevante prevista dall’art. 473-bis.51 c.p.c., nell’ipotesi di ricorso congiunto, è la possibilità per le parti di sostituire l’udienza dinanzi al giudice relatore con il deposito di note scritte: la disposizione precisa invero che “se – le parti – intendono avvalersi della facoltà di sostituire l’udienza con il deposito di note scritte, devono farne richiesta nel ricorso, dichiarando di non volersi riconciliare e depositando i documenti di cui all’articolo 473-bis.13, terzo comma”.

6. In relazione all’argomento formale fondato sul silenzio della legge (ubi/ex non dixit, non voluit), lo stesso è troppo debole, tanto da essere confutato, con argomenti contrari, parimenti plausibili (quali l’uso del plurale nel disposto dell’art. 473-bis.51 c.p.c., “... relativa ai procedimenti di cui all’art. 473 bis.47”).

È stato, in particolare, rilevato che, mentre nel sistema previgente, il procedimento congiunto di separazione e quello di divorzio erano disciplinati da due disposizioni distinte (l’art. 711 c.p.c. e l’art. 4, comma 16, I. div.), contenute in “canali normativi” che continuavano a rimanere separati, oggi dette previsioni sono state abrogate espressamente e la relativa disciplina è confluita in un unico contenitore processuale (Titolo IV bis, intitolato: “Norme per il procedimento in materia di persone minorenni e famiglie”).

Anche l’argomento letterale fondato sull’art. 3 1.898/1970, quale risultante dalle modifiche introdotte dal d.lgs. 149/202 [“Lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio può essere domandato da uno dei coniugi: ... b) è stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale fra i coniugi, ovvero è stata omologata la separazione consensuale ovvero è intervenuta separazione di fatto quando la separazione di fatto stessa è iniziata almeno due anni prima del 18 dicembre 1970. In tutti i predetti casi, per la proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, le separazioni devono essersi protratte ininterrottamente da almeno dodici mesi dalla data dell’udienza di comparizione dei coniugi nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale, ovvero dalla data certificata nell’accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero dalla data dell’atto contenente l’accordo di separazione concluso innanzi all’ufficiale dello stato civile. Nei casi in cui la legge consente di proporre congiuntamente la separazione personale e quella di scioglimento degli effetti civili del matrimonio, quest’ultima domanda di o cessazione è procedibile una volta decorsi i termini sopra indicati