Non è configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia, bensì l'ipotesi aggravata del reato di atti persecutori, ricorrendone i requisiti strutturali, in presenza di condotte illecite poste in essere da parte di uno dei componenti di una unione di fatto ai danni dell'altro, quando sia cessata la convivenza e siano conseguentemente venute meno la comunanza di vita e di affetti nonché il rapporto di reciproco affidamento.
Lo ha specificato la Cassazione, nelle pagine della sentenza n. 37748/2024. Il provvedimento della sesta sezione penale è risalente allo scorso 15 ottobre.
Pertanto, chiarisce il Collegio di piazza Cavour, occorre procedere alla ricostruzione delle condotte materiali, in relazione al loro storico divenire, correlandole alla cessazione o permanenza del rapporto di convivenza tra l'imputato e la persona offesa, analizzandone, altresì, la concreta ed effettiva rilevanza per il periodo successivo alla cessazione del rapporto di convivenza onde verificarne, ai finì della qualificazione, la sussumibilità nel delitto di maltrattamenti in famiglia ovvero in quello di atti persecutori.