Quando una persona sostiene le spese di ristrutturazione di un mausoleo cimiteriale in seguito all'acquisto del diritto al sepolcro tramite una compravendita affetta da nullità, il venditore può essere citato in giudizio con l'azione di arricchimento senza causa ed essere condannato a indennizzare la diminuzione patrimoniale subita da chi ha sopportato il costo della ristrutturazione, nei limiti dell’aumento di valore del manufatto ristrutturato.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, nella ordinanza n. 190/2025. Il provvedimento della terza sezione civile è stato depositato lo scorso 7 gennaio.
La Suprema Corte, con la pronuncia sopra citata, ha accolto il ricorso presentato dalla vedova di uno dei fratelli che avevano ereditato la tomba di famiglia dopo la scomparsa del padre.
Nel sepolcro ereditario, precisano i giudici di piazza Cavour, lo "ius sepulchri" si trasmette nei modi ordinari, per atto "inter vivos" o "mortis causa", come qualsiasi altro diritto, dall'originario titolare anche a persone non facenti parte della famiglia, mentre nel sepolcro gentilizio o familiare - tale dovendosi presumere il sepolcro, in caso di dubbio - lo "ius sepulchri" è attribuito, in base alla volontà del testatore, in stretto riferimento alla cerchia dei familiari destinatari del sepolcro stesso, acquistandosi dal singolo "iure proprio" sin dalla nascita, per il solo fatto di trovarsi col fondatore nel rapporto previsto dall'atto di fondazione o dalle regole consuetudinarie, "iure sanguinis" e non "iure successionis", e determinando una particolare forma di comunione fra contitolari, caratterizzata da intrasmissibilità del diritto, per atto tra vivi o "mortis causa", imprescrittibilità e irrinunciabilità.
Tale diritto di sepolcro si trasforma da familiare in ereditario con la morte dell'ultimo superstite della cerchia dei familiari designati dal fondatore, rimanendo soggetto, per l'ulteriore trasferimento, alle ordinarie regole della successione "mortis causa".