Con una nuova sentenza, la Suprema Corte torna ad effettuare alcune precisazioni sulle differenziazioni che intercorrono tra il reato di stalking e quello di molestia. Il provvedimento in esame è il n. 7825/2023, dello scorso 22 febbraio.
Il criterio distintivo tra il reato di atti persecutori e quello di cui all'art. 660 del codice penale, si legge in sentenza, consiste nel diverso atteggiarsi delle conseguenze della condotta che, in entrambi i casi, può estrinsecarsi in varie forme di molestie.
Sicché, argomentano i giudici di piazza Cavour, si configura il delitto di cui all'art. 612-bis c.p. solo qualora le condotte molestatrici siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ovvero l'alterazione delle proprie abitudini di vita.
Sussiste, invece, il reato di cui all'art. 660 c.p. ove le molestie si limitino ad infastidire la vittima del reato.
Nel delitto di atti persecutori, che ha natura di reato abituale di evento, l'elemento soggettivo è integrato dal dolo generico, il cui contenuto richiede la volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell'abitualità del proprio agire, ma non postula la preordinazione di tali condotte - elemento non previsto sul fronte della tipicità normativa - potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l'occasione.