Il discrimine tra il reato di maltrattamenti e quello di atti persecutori aggravati, nei casi di cessazione o assenza della convivenza, impone un approfondito accertamento di fatto volto a verificare se tra l'autore del reato e la persona offesa non vi sia consuetudine di vita, tale da escludere un'incombente e continuativa presenza del primo nell'esistenza della vittima e una modalità relazionale in piena discontinuità rispetto alla fase della convivenza, ove questa vi sia stata.
La sottolineatura è a firma della Cassazione, all’interno della sentenza n. 9384/2023. Il provvedimento è stato depositato lo scorso 6 marzo.
Per compiere una corretta qualificazione giuridica delle condotte illecite, il giudice di merito deve effettuare un doppio accertamento della situazione di fatto al momento della consumazione delle violenze: quello preliminare circa l'esistenza di una "convivenza" o di una "relazione affettiva" e quello successivo circa l'effettiva interruzione o assenza di convivenza.
Questo secondo requisito, cioè l'effettiva interruzione o assenza di convivenza, è cruciale in quanto dalla sua esistenza deriva l'applicazione dell'art. 612-bis c.p., comma 2, e, di converso, l'esclusione del reato di maltrattamenti.