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Assegno di divorzio all'ex moglie che si dedica alla famiglia per consentire al marito di fare il giornalista

29 marzo 2023

News Regionale - Piemonte e Valle d'Aosta ,

Sì all’assegno di divorzio all'ex moglie che si dedica alla famiglia per consentire al marito di fare il giornalista. A stabilirlo è la Corte di Cassazione, mediante ordinanza n.8362/2023. Il provvedimento è stato depositato lo scorso 23 marzo.

Il riconoscimento dell'assegno di divorzio, come affermato dalle Sezioni Unite, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale e in pari misura compensativa e perequativa, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi o comunque dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l'applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, e, in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto.


La natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, conduce, quindi, al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente, non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch'essa assegnata dal legislatore all'assegno divorzile, non è finalizzata, peraltro, alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi.

Secondo il parametro composito - assistenziale e perequativo compensativo - che è stato oggetto dell'elaborazione interpretativa delle S.U., occorre verificare, in primo luogo, se il divorzio abbia prodotto, alla luce dell'esame comparativo delle condizioni economico patrimoniali delle parti, uno squilibrio effettivo e di non modesta entità. Solo ove tale disparità sia accertata, è necessario verificare se sia casualmente riconducibile in via esclusiva o prevalente alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli dei componenti la coppia coniugata, al sacrificio delle aspettative lavorative e professionali di uno dei coniugi.

Secondo i giudici di merito la situazione di squilibrio reddituale che indubbiamente si è venuta a determinare con la cessazione del matrimonio non risulta adeguatamente colmata da alcuna attribuzione patrimoniale del marito alla moglie.

Quanto alla mancata considerazione del preteso apporto economico che, secondo la prospettazione dell’ex marito, sarebbe stato dato all'acquisto della casa, va rilevato che non vi è indicazione della specifica deduzione dei profili in questione nell'atto di appello, come emerge dalla lettura della sentenza, che, nel riassumere le doglianze fatte valere in sede di gravame, fa cenno alcuno a tale fatto introdotto surrettiziamente in sede di legittimità in palese violazione dell'art 366 primo comma nr 6 c.p.c..

La valutazione in fatto compiuta dalla Corte di Appello nella concreta determinazione dell'assegno, stabilito in funzione perequativo-compensativa, non è sindacabile in sede di legittimità, essendo, peraltro, tale valutazione sorretta da una motivazione ampia ed immune da vizi logici, unico profilo eventualmente sindacabile in questa sede, seppur nei ristretti limiti di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come interpretato dalle s.U. di questa Corte nella sentenza n. 8053/2014), vizio comunque come già detto, non denunciato dal ricorrente.

Il ricorrente si limita a prospettare una diversa lettura delle risultanze di causa, disattese dal giudice di merito nell'ambito della sua discrezionalità motivata, che non può essere sindacata in sede di legittimità, tantomeno sotto il profilo della violazione dell'art. 115 c.p.c., salva la ricorrenza del vizio di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Per costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione dell'art. 115 c.p.c. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità, essendo riservate al giudice del merito l'interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell'attendibilità e della concludenza delle prove, nonché la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. n. 24434/2016 e Cass. n. 21187/2019). Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso dell’ex marito va dichiarato inammissibile.