Come noto, in base all’art. 1 comma 27 della l. 76/2016, quando uno dei coniugi ottiene la rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso, il matrimonio si scioglie, salvo che i coniugi abbiano manifestato la volontà di mantenere in essere il vincolo tra loro esistente, che si trasforma in un’unione civile; l’art. 31 del d.lgs. 150 del 2011, novellato nel 2017, consente ai coniugi di manifestare detta volontà, nel giudizio di rettificazione anagrafica, fino al momento della precisazione delle conclusioni.
Se invece detta rettificazione riguarda una persona civilmente unita ad altra dello stesso sesso, il vincolo si scioglie, come dispone l’art. 1 comma 26 della legge citata; in questo caso nulla osta a che i componenti della coppia possano successivamente contrarre matrimonio, ove lo vogliano.
Con la sentenza n. 66/2024 del 22 aprile la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma da ultimo citata, perché introduce un meccanismo automatico di scioglimento dell’unione civile, in contrasto con l’art. 2 Cost. Manca infatti qualsiasi forma di tutela nel passaggio da una relazione giuridicamente riconosciuta, quale l’unione civile, ad un’altra, il matrimonio, con pregiudizio per il diritto inviolabile della persona alla propria identità; né va sottaciuto come, nel lasso di tempo tra scioglimento dell’unione civile e matrimonio, potrebbero intervenire eventi estranei alla volontà delle parti, tali da escludere la costituzione del nuovo vincolo.
La Corte costituzionale, dopo aver premesso la differenza intrinseca tra matrimonio ed unione civile, sì da escludere l’illegittimità della disciplina in esame anche per violazione dell’art. 3 Cost., non ritiene potersi estendere le norme sulla conversione del matrimonio in unione civile, in caso di rettificazione di sesso di uno dei componenti della coppia same sex; con una vera e propria opera di creazione del diritto perviene quindi alla conclusione che la rettificazione anagrafica di sesso non determini di per sé lo scioglimento dell’unione civile, quando entrambe le parti dell’unione stessa, davanti al giudice ed entro l’udienza di precisazione delle conclusioni, abbiano manifestato l’intento di contrarre matrimonio. Detto scioglimento deve rimanere pertanto sospeso per un termine massimo, individuato in quello fissato dal codice civile per la celebrazione del matrimonio a far data dalle pubblicazioni (centottanta giorni ex art. 99, comma 2 c.c.). Esso non può che decorrere, però, nel caso di specie, dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione del sesso, che resta sospesa, così nel suo decorso, limitatamente all’effetto dell’automatismo solutorio del vincolo.
In altri termini, la sospensione dello scioglimento del vincolo lascia alle parti la facoltà di procedere alla celebrazione del matrimonio, realizzando quella volontà già manifestata davanti al giudice; nel contempo conserva agli uniti civilmente la tutela propria del rapporto già goduto e riconosciuto nell’ordinamento nelle more della celebrazione del matrimonio.
Per coerenza del sistema la Corte dichiarata altresì l’illegittimità costituzionale dell’art. 70-octies, comma 5, del d.P.R. n. 396 del 2000, nella parte in cui non prevede che l’ufficiale dello stato civile competente, ricevuta la comunicazione della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso, proceda ad annotare, se disposta dal giudice, la sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento dell’unione civile fino alla celebrazione del matrimonio e, comunque, non oltre il termine di centottanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione.