L’art. 4, n. 3 della legge n. 184 del 1983, come novellato dalla legge 149 del 2001 e dal d.lgs. n. 54 del 2013, in attuazione della legge delega n. 219 del 2012, in relazione all’affidamento familiare, nel dissenso manifestato dai genitori del minore, attribuisce alla cognizione giudiziale il potere di disporre d’ufficio l’affido etero-familiare nella necessità, attesa la natura contenziosa della vicenda, di addivenire ad un provvedimento giurisdizionale.
Ciò non vale, nella “ratio” della disposizione indicata, ad attribuire, altresì, alla stretta competenza giurisdizionale, la fissazione delle modalità attuative del provvedimento disponente l’affido che, servizi organizzati sul territorio, e dotati di specifiche competenze in ambito socio-sanitario, più agevolmente possono individuare in relazione al caso concreto, su delega del giudice disponente.
Questi i principi enunciati dalla Corte di Cassazione, all’interno dell’ordinanza 4797/2022 dello scorso 14 febbraio 2022. La ricostruzione dei fatti oggetto della vicenda in esame appare necessaria ai fini di un corretto inquadramento logico-giuridico del percorso argomentativo delineato dalla Suprema Corte.
F.G. ricorreva con due motivi per la cassazione della sentenza con cui la Corte d'Appello di Milano, su impugnazione della prima, ha confermato la sentenza n. 114/2020 del Tribunale per i minorenni di Milano - pronunciata in un procedimento introdotto, ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 8, dal P.M. in sede per la dichiarazione dello stato di adottabilità della minore, in ragione del suo stato di abbandono morale materiale che, dichiarato il non luogo a provvedere in merito alla dichiarazione di adottabilità, aveva confermato l'affido etero-familiare di P.A., nata dalla relazione sentimentale tra la ricorrente e P.J.C..
Il Tribunale per i minorenni di Milano aveva attribuito l'affido temporaneo della minore all'ente territorialmente competente e disposto la limitazione dell'esercizio della responsabilità genitoriale, tra l'altro incaricando i Servizi Sociali dell'ente affidatario, anche in collaborazione con quelli specialistici e socio-sanitari.
Era stato anche previsto di collocare la minore presso una idonea famiglia, in grado di assicurare una disponibilità a medio periodo, e di regolamentare le frequentazioni con i genitori, monitorare il nucleo familiare, attivando gli interventi di supporto alla genitorialità ritenuti necessari e quelli comunque apprezzati come più opportuni per la crescita della minore.
La Corte di merito ha confermato le indicate statuizioni rigettando l'appello.
Resisteva, con controricorso, il curatore speciale della minore.
La L. n. 184 del 1983, art. 4, ai commi 2 e 3, come modificati dalla L. n. 149 del 2001 e dal D.Lgs. n. 54 del 2013, in attuazione della Legge delega n. 219 del 2012, prevede che "ove manchi l'assenso dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale o del tutore" sia il tribunale per i minorenni a disporre l'affidamento familiare del minore, provvedendo poi ad indicare quali debbano essere i contenuti del provvedimento di affido e, segnatamente, con le motivazioni dello stesso, "i tempi e i modi dell'esercizio dei poteri riconosciuti all'affidatario, e le modalità attraverso le quali i genitori e gli altri componenti il nucleo familiare possono mantenere i rapporti con il minore".
La norma prevede infatti due distinte ipotesi: a) quella per la quale, nel consenso manifestato dai genitori o dal tutore, ed all'esito di un procedimento in cui deve essere sentito il minore, sono i Servizi sociali a disporre l'affido familiare, con un provvedimento di natura amministrativa che poi il giudice tutelare del luogo ove si trova il minore rende esecutivo con decreto; b) quella in cui, in mancanza del consenso dei genitori, a disporre l'affido familiare sia il tribunale per i minorenni in sede in sede contenziosa, a composizione del relativo conflitto, con un provvedimento di natura giurisdizionale.
Ecco che nella seconda descritta fattispecie, la ratio del legislatore, nell'ipotesi di conflitto tra i genitori, è quella di attribuire al giudice competente la decisione sull'affido, nella natura contenziosa della vicenda e del conclusivo provvedimento.
L'evidenza, ulteriore, che la norma (L. n. 184 del 1983, art. 4, n. 3 e ss. citt.) stabilisca il contenuto del provvedimento che il giudice deve adottare - e, quindi, oltre alla motivazione: tempi e modi dei poteri attribuiti alla famiglia affidataria; modalità secondo le quali si mantiene il rapporto del minore con la famiglia di origine - non vale, per ciò stesso ad attribuire al giudice, in via esclusiva, la determinazione dei poteri degli affidatari e delle modalità di frequentazioni tra minore, genitori e altri componenti della sua famiglia.
Una volta che sia intervenuto il giudice a composizione del conflitto tra i genitori con un provvedimento motivato, la fissazione delle modalità attraverso le quali trova attuazione l'affido temporaneo etero-familiare - sia nei rapporti del minore con la famiglia affidataria, per tempi e modi dei poteri a questa attribuiti, sia in quelli con la famiglia di origine - può essere delegata dal giudice ai Servizi sociali che, quale organo del territorio, dotato di competenza specifica in materia e che comunque può avvalersi degli altri servizi socio-sanitari.
Viene, quindi, affermato il seguente principio di diritto: "La L. n. 184 del 1983, art. 4, n. 3, come novellato dalla L. n. 149 del 2001 e dal D.Lgs. n. 54 del 2013, in attuazione della Legge delega n. 219 del 2012, in relazione all'affidamento familiare, nel dissenso manifestato dai genitori del minore, attribuisce alla cognizione giudiziale il potere di disporre l'affido etero-familiare nella necessità, attesa la natura contenziosa della vicenda, di addivenire ad un provvedimento giurisdizionale; ciò non vale, nella "ratio" della disposizione indicata, ad attribuire, altresì, alla stretta competenza giurisdizionale, la fissazione delle modalità attuative del provvedimento disponente l'affido che, servizi organizzati sul territorio, e dotati di specifiche competenze in ambito sociosanitario, più agevolmente possono individuare in relazione al caso concreto, su delega del giudice disponente".
La mancanza del termine di durata della misura dell'affido etero-familiare, contestata in ricorso, ha portato la Cassazione all'accoglimento del motivo.
In via conclusiva, rigettato il primo motivo ed accolto il secondo, va cassata la sentenza impugnata con rinvio della causa alla Corte d'Appello di Milano, in altra composizione.