L'assegno divorzile deve essere adeguato sia a compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per avere rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali - che il richiedente ha l'onere di dimostrare in giudizio - al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, sia ad assicurare in funzione perequativa, sempre previo accertamento probatorio dei fatti posti a base della disparità economico-patrimoniale conseguente allo scioglimento del vincolo, un livello reddituale adeguato al contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e, conseguentemente, alla formazione del patrimonio familiare e personale dell'altro coniuge, rimanendo, in tal caso, assorbito l'eventuale profilo prettamente assistenziale.
Lo ribadisce la Cassazione, nell’ordinanza n. 7126/2025. Il provvedimento della prima sezione civile è stato depositato lo scorso 17 marzo.
I giudici di piazza Cavour, nel loro percorso logico giuridico, rammentano il consolidato orientamento della Sezioni Unite (sent.n. 18287/2018) e rilevano come sia necessario un rigoroso accertamento dello squilibrio, presente al momento del divorzio, fra la situazione reddituale e patrimoniale delle parti: tale squilibrio deve essere l'effetto del sacrificio da parte del coniuge più debole a favore delle esigenze familiari. In tal modo, prosegue la Suprema Corte, si giustifica il riconoscimento di un assegno "perequativo", cioè di un assegno tendente a colmare tale squilibrio reddituale e a dare ristoro, in funzione riequilibratrice, al contributo dato dall'ex coniuge all'organizzazione della vita familiare, senza che per ciò solo si introduca il parametro,ormai superato, del tenore di vita endoconiugale.