L'assegno di divorzio, avente funzione anche perequativa-compensativa, presuppone un rigoroso accertamento del fatto che lo squilibrio tra la situazione reddituale e patrimoniale delle parti, al momento dello scioglimento dell’unione, sia l'effetto del sacrificio del coniuge più debole in favore delle esigenze familiari. In difetto di prova di tale nesso causale, l'assegno può giustificarsi solo per esigenze strettamente assistenziali, ravvisabili laddove il coniuge più debole non abbia i mezzi sufficienti per un'esistenza dignitosa o non possa procurarseli per ragioni oggettive.
È quanto ribadito dalla Cassazione, nell’ordinanza n. 19242/2025.
Occorre, chiarisce il Collegio di piazza Cavour, pertanto appurare la riconducibilità dello squilibrio economico tra gli ex coniugi all'organizzazione familiare durante la vita in comune e a tal fine vanno esaminate le concrete ricadute economiche che le varie circostanze di fatto (l’attività lavorativa del coniuge richiedente e il contributo reso alla formazione del patrimonio comune e dell’altro, l’assegnazione della casa familiare e l’onere del pagamento del mutuo) determinano nella formazione del quadro complessivo della condizione economica e patrimoniale di ciascuna delle parti ai fini della sussistenza dell'an e del quantum del richiesto assegno divorzile.
Nella vicenda in esame, anche la circostanza sopravvenuta alla separazione della nascita di un altro figlio, al cui mantenimento deve provvedere il coniuge richiesto dell'assegno divorzile, deve rientrare in questa valutazione, ove già esistente, non potendosi ritenere, per evidenti ragioni di economia processale, che l'esame della stessa debba essere rinviato in un momento successivo di revisione dell'assegno divorzile.