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Pronuncia di non luogo a procedere nel caso di minore infraquattordicenne: sussiste l’obbligo del contradditorio? Parola alle Sezioni Unite

15 aprile 2022

News Regionale - Sicilia ,

Interessante ordinanza, la n. 13993/2022, emanata dalla Cassazione, sezione seconda penale, depositata lo scorso 12 aprile. 

Rimesso alle Sezioni Unite il seguente quesito: “se, ai fini della sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità del minore infraquattordicenne ai sensi dell’art. 26 d. P.R. n. 448 del 1988, il giudice abbia l’obbligo di provvedere all’instaurazione del contradditorio, fissando l’udienza preliminare con consequenziale avviso all’esercente la potestà genitoriale, ai sensi dell’art. 31, comma 3, del medesimo P.R. n. 448 del 1988, ovvero se l’emissione della citata pronuncia possa avvenire anche de plano”.

Un cenno ai fatti appare necessario per comprendere quanto argomentato dalla Suprema Corte. 

Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale per i Minorenni di Messina, con sentenza in data 21/09/2021, dichiarava de plano non doversi procedere nei confronti di P.M. in relazione al reato di danneggiamento trattandosi di persona non imputabile, in quanto minore degli anni quattordici al momento del fatto.

P.U. e M.P., quali genitori esercenti la responsabilità sul minore P.M., tramite difensore, hanno proposto ricorso per cassazione per lamentare, quale formale motivo unico, violazione di legge in relazione al disposto del D.P.R. n. 448 del 1998, art. 26 per aver il giudice di merito pronunciato immediata declaratoria di non imputabilità in contrasto sia con i principii di rango costituzionale (in particolare, gli artt. 3 e 10 Cost., art. 24 Cost., comma 2, artt. 76,111 e 112 Cost.) che con norme sovranazionali (quali l'art. 40 della Convenzione di New York e l'art. 6 CEDU), non consentendo alcuna esplicazione del diritto di difesa.

Si assume come anche al minore vada garantito il contraddittorio, tramite fissazione dell'udienza ex D.P.R. n. 488 del 1988, art. 31, comma 3, al fine di scongiurare qualsiasi effetto pregiudizievole (applicazione di una misura di sicurezza, iscrizione della sentenza di proscioglimento nel casellario giudiziale) derivante dalla declaratoria di non punibilità.

La sentenza prevista dall'art. 26 sopra citato costituisce il risvolto processuale della disposizione di cui all'art. 97 c.p. che, come noto, stabilisce una presunzione assoluta di incapacità di intendere e di volere nei confronti di chi, al momento del fatto, non abbia compiuto quattordici anni. Un simile epilogo, potendo trovare applicazione "in ogni stato e grado del procedimento" e, dunque, anche anteriormente all'esercizio dell'azione penale, mira a garantire una rapida fuoriuscita del minorenne non imputabile dal circuito penale, in forza dei canoni di minima offensività e destigmatizzazione, che integrano principi cardine dell'intero sistema di giustizia minorile.

Nonostante la ratio dell'istituto in esame sia essenzialmente ispirata al favor minoris, oltre che ad esigenze di economia processuale, il proscioglimento per difetto della capacità di intendere e di volere non è, tuttavia, privo di esiti pregiudizievoli per il suo destinatario.

Alla sua applicazione consegue, infatti, l'iscrizione del relativo provvedimento nel casellario giudiziale, ai sensi del D.P.R. n. 313 del 2002, art. 3, comma 1, lett. f) e art. 5, comma 4, ove permane sino al compimento della maggiore età, nonché la possibilità di adottare, qualora ne sussistano i requisiti, una misura di sicurezza personale, anche in via provvisoria (D.P.R. n. 448 del 1988, art. 224 c.p. e art. 37 ss.).

E proprio tali conseguenze negative, che discendono dalla sentenza di non luogo a procedere di cui al D.P.R. n. 448 del 1988, art. 26, hanno indotto gli interpreti a chiedersi se tale pronuncia debba essere annoverata tra quegli epiloghi che postulano logicamente l'accertamento del fatto e della responsabilità dell'imputato, sebbene la norma non ne faccia espressa menzione.

Sul punto, in giurisprudenza si sono registrati due orientamenti contrapposti.

Una prima impostazione, per la verità minoritaria, prediligendo un'interpretazione letterale della norma in oggetto - che è rubricata "obbligo della immediata declaratoria della non imputabilità" - ritiene che, in presenza di un soggetto privo ex lege della capacità di intendere e di volere in ragione dell'età minore di quattordici anni, si impone al giudice la tempestiva chiusura anticipata del procedimento, attesa l'ultroneità di qualsivoglia indagine in relazione ad un fatto che la legge non consente di perseguire.

Proprio in applicazione di tale principio la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso dell'imputato, minore degli anni quattordici al momento del fatto, volto a censurare il mancato compimento, prima della sentenza di non luogo a procedere, di attività processuali, preordinate a dimostrare la propria estraneità ai fatti oggetto di imputazione o l'eventuale insussistenza del fatto.

Il principio è stato recentemente ribadito in due arresti della Suprema Corte (Sez. 5, n. 3029 del 27/11/2019, G., Rv. 278138 e Sez. 1, n. 16118 del 14/02/2019, C., Rv. 275892).

In dette pronunce si è affermata l'inammissibilità, per carenza d'interesse, del ricorso per cassazione avverso la sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità proposto dall'esercente la potestà genitoriale nell'interesse di minore infraquattordicenne per erronea applicazione della legge e vizio di motivazione in ordine all'omesso proscioglimento nel merito. 

I due ultimi arresti rilevano pertanto che, da un lato, l'iscrizione nel casellario della sentenza è meramente temporanea e viene cancellata al raggiungimento della maggiore età, ai sensi del D.P.R. 14 novembre del 2002, n. 313, art. 5, comma 4; dall'altro, la necessità di procedere all'accertamento in concreto del fatto costituente reato, nonché della pericolosità sociale del soggetto, che impone la fissazione dell'udienza preliminare e la notifica del relativo avviso agli esercenti la responsabilità genitoriale, non può postularsi in astratto ma è connessa all'applicazione della misura di sicurezza nei confronti del minore, secondo il combinato disposto dell'art. 224 c.p. e D.P.R. n. 448 del 1988, art. 37.

Di tenore completamente opposto è un secondo orientamento che, nell'ottica di garantire la massima estensione del diritto di difesa, riconosce come la decisione ex D.P.R. n. 448 del 1988, art. 26 postula il positivo accertamento della colpevolezza dell'imputato nonché la puntuale indicazione, nella motivazione del provvedimento, delle ragioni del mancato proscioglimento nel merito. 

Tale orientamento è stato espresso da ultimo da Sez. 4, n. 11541 del 30/01/2020, 0., che afferma che il giudice è tenuto a garantire la realizzazione del pieno contraddittorio, assicurando al minore, ancorché infraquattordicenne e come tale non imputabile, la più ampia partecipazione al processo, al fine di scongiurare qualsiasi effetto pregiudizievole derivante dal suo coinvolgimento in un procedimento penale, ivi compresa, al di là della irrogazione della sanzione penale, l'applicazione di una misura di sicurezza o la mera annotazione della sentenza di proscioglimento sul certificato del casellario penale.

In tal senso, si è affermato come l'interprete non possa non tener conto della possibile ricaduta dei possibili effetti di dette misure, disposte a seguito del proscioglimento per difetto di imputabilità, sul pieno ed incondizionato inserimento sociale del minore, nella delicata fase dello sviluppo della personalità. La tesi propone una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 26 D.P.R. cit., volta a superare la segnalata situazione di profondo contrasto con l'art. 224 c.p., che privilegia la piena esplicazione del diritto di difesa, alla luce degli artt. 3 e 10 Cost., art. 24 Cost., comma 2, artt. 76,111 e 112 Cost. e, in ambito sovranazionale, dell'art. 40 della Convenzione di New York e l'art. 6 CEDU, nell'interpretazione fornita dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo.

Nella specie, la sentenza Corte EDU, 11 dicembre 2008, ric. n. 4268/04, Panovits v. Cyprus, in tema di salvaguardia della condizione di particolare vulnerabilità del minore nel processo penale, impone allo Stato di organizzare il processo penale a carico del minore, tenendo conto dell'età, del livello di maturità e del grado di sviluppo delle capacità intellettive ed emotive dell'accusato, in modo da consentirgli di comprendere "la natura dell'indagine" ed "il significato di qualsiasi sanzione, nonché partecipare attivamente al procedimento, esercitando pienamente il diritto alla difesa garantito dall'art. 6 CEDU" (in tal senso, v. Corte EDU, 4 Sezione, 15 giugno 2004, S.C. c. Regno Unito, n. 60958/00, CEDU 2004 IV).

Secondo detto orientamento, pertanto, il giudice che deve provvedere alla declaratoria di non imputabilità del minore infraquattordicenne è tenuto, dunque, a fissare l'udienza preliminare e a darne avviso all'esercente la responsabilità genitoriale. La possibilità per il giudice di dichiarare "de plano" la non imputabilità del minore di anni quattordici, omettendo qualsivoglia accertamento in contraddittorio in ordine alla eventuale insussistenza del fatto o alla non attribuibilità dello stesso al minore imputato, si pone in chiaro contrasto con i richiamati principi di rango costituzionale e sovranazionale.

In definitiva, una pronuncia de plano, sebbene sia animata dall'intento di favorire l'espulsione del minore dal processo in tempi rapidi, al contempo gli impedisce di interloquire al fine di ottenere un epilogo assolutorio pieno, arrecando un vulnus irreparabile non solo al diritto di difesa, ma anche alle esigenze educative e di recupero sociale, che assumono primaria importanza nel rito minorile. Al contrario, la preventiva valutazione, condotta in apposita udienza partecipata, in ordine alla concreta responsabilità penale dell'infraquattordicenne, ove caratterizzata da esito negativo, consentirebbe il ricorso alle formule assolutorie di cui all'art. 425 c.p.p., riespandendosi così le garanzie difensive dell'imputato.

E così, a fronte della dimostrata insussistenza del reato contestato o della non riferibilità dello stesso al minorenne, il non luogo a procedere per difetto di imputabilità sarebbe destinato a cedere il passo a sentenze di proscioglimento più favorevoli, in ossequio al favor innocentiae.

Sul contrasto in parola giova ricordare come si registrino posizioni fortemente divergenti anche in dottrina.

Invero, in base ad un primo orientamento, l'art. 26 D.P.R. cit. pone al pubblico ministero una "preclusione ad ogni accertamento supplementare diretto a conseguire eventuali epiloghi più favorevoli all'imputato". Il testo della norma, infatti - benché sarebbe apprezzabile, su un piano dei valori, la tutela del "diritto del minore a non vedersi prosciogliere, solo per effetto della minore età, per un reato insussistente o, comunque, da lui non commesso" - non lascerebbe "margini così ampi" al pubblico ministero, imponendogli l'attivazione del meccanismo di definizione anticipata del procedimento, salvo che ritenga di chiedere l'applicazione di una misura di sicurezza, nel qual caso sarebbe lo stesso art. 224 c.p. ad imporre l'accertamento della commissione del reato.

Altri autori si pongono, invece, su una posizione opposta: infatti, benché l'art. 26 si informi ai principi di minima offensività e di destigmatizzazione - vale a dire all'esigenza di dichiarare la superfluità del processo il prima possibile, al fine di evitare inutili effetti di etichettamento del minore - ed a quelli di autoselettività e di deflazione - ovvero alla necessità di escludere dal processo fatti e soggetti penalmente non rilevanti - la pubblica accusa sarebbe comunque tenuta a svolgere ulteriori indagini in ordine alla sussistenza del fatto di reato ed alla responsabilità del minore, poiché dalla declaratoria di cui al D.P.R. n. 448 del 1988, art. 26 possono scaturire conseguenze negative per il minore, quali l'applicazione di una misura di sicurezza e l'iscrizione nel casellario giudiziale (ai sensi del D.P.R. n. 313 del 2002, art. 3, comma 1, lett. f).

La maggior parte degli studiosi concorda, invece, sulla prevalenza delle cause di proscioglimento più favorevoli all'imputato quando la non colpevolezza risulti accertata: ciò nell'interesse sia morale che giuridico del minore, aspetto fondamentale anche sotto il profilo educativo.

Alla luce di quanto argomentato nell’ordinanza, la Cassazione ha ritenuto di dover devolvere alle Sezioni Unite il seguente quesito "se, ai fini della pronuncia della sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità del minore infraquattordicenne ai sensi del D.P.R. n. 448 del 1988, art. 26 il giudice abbia l'obbligo di provvedere all'instaurazione del contraddittorio, fissando l'udienza preliminare con consequenziale avviso all'esercente la potestà genitoriale, ai sensi dell'art. 31, comma 3, del medesimo D.P.R. cit., ovvero se l'emissione della citata pronuncia possa avvenire anche de plano".