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La conflittualità non esclude l’affidamento condiviso

15 luglio 2022

News Regionale - Sicilia ,

L'affidamento condiviso è da ritenersi il regime ordinario, anche nel caso in cui i genitori abbiano cessato il rapporto di convivenza ed il grave conflitto fra gli stessi non è, di per sé solo, idoneo ad escluderlo.

La mera conflittualità, a ben vedere, non preclude il ricorso al regime preferenziale dell'affidamento condiviso, ove si mantenga nei limiti di un tollerabile disagio per la prole, mentre può assumere connotati ostativi alla relativa applicazione ove si esprima in forme atte ad alterare e a porre in serio pericolo l'equilibrio e lo sviluppo psico-fisico dei figli, e, dunque, tali da pregiudicare il loro interesse.

A rimarcare tale orientamento, già ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, è la Corte di Cassazione, all’interno della ordinanza n. 21425/2022, depositata lo scorso 6 luglio. 

In tema di affidamento, si legge nel provvedimento, la Cassazione ripete da tempo, reiterando un insegnamento già affermatosi in vigenza dell'art. 155 c.c., che il criterio fondamentale, cui deve attenersi il giudice a mente dell'art. 337-ter c.c., è costituito dall'esclusivo interesse morale e materiale della prole, il quale, imponendo di privilegiare la soluzione che appaia più idonea a ridurre al massimo i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore, richiede un giudizio prognostico circa la capacità del singolo genitore di crescere ed educare il figlio, da esprimersi sulla base di elementi concreti attinenti alle modalità con cui ciascuno in passato ha svolto il proprio ruolo, con particolare riguardo alla capacità di relazione affettiva, nonché mediante l'apprezzamento della personalità del genitore.

In coerenza con questa premessa, la regola dell'affidamento condiviso si rivela, perciò, la scelta tendenzialmente preferenziale (cfr. Cass. n. 6535 del 2019) onde garantire il diritto del minore "di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori", tanto che, avendo in tal modo dimostrato il legislatore di ritenere che l'affidamento condiviso costituisca il regime ordinario della condizione filiale nella crisi della famiglia, la sua derogabilità, neppure consentita in caso di grave conflittualità tra i genitori risulta possibile solo ove la sua applicazione risulti "pregiudizievole per l'interesse del minore" (cfr. Cass. n. 977 del 2017).

In proposito, proseguono i Giudici di Piazza Cavour, va pure ribadito che "in tema di affidamento dei figli nati fuori del matrimonio, alla regola dell'affidamento condiviso dei figli può derogarsi solo ove la sua applicazione risulti "pregiudizievole per l'interesse del minore", con la duplice conseguenza che l'eventuale pronuncia di affidamento esclusivo dovrà essere sorretta da una motivazione non solo più in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa ovvero manifesta carenza dell'altro genitore".

Nell'interesse superiore del minore va assicurato il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, nel dovere dei primi di cooperare nell'assistenza, educazione ed istruzione.

Tale orientamento trova riscontro nella giurisprudenza della Corte EDU, che, chiamata a pronunciarsi sul rispetto della vita familiare di cui all'art. 8 CEDU, pur riconoscendo all'autorità giudiziaria ampia libertà in materia di diritto di affidamento di un figlio di età minore, ha precisato che è comunque necessario un rigoroso controllo sulle "restrizioni supplementari", ovvero quelle apportate dalle autorità al diritto di visita dei genitori, e sulle garanzie giuridiche destinate ad assicurare la protezione effettiva del diritto dei genitori e dei figli al rispetto della loro vita familiare, di cui all'art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, onde scongiurare il rischio di troncare le relazioni familiari tra un figlio in tenera età ed uno dei genitori.

Nel caso in questione, la corte di appello, pur avendo riscontrato un'elevata conflittualità tra i genitori, tanto da concludere il provvedimento con un'ammonizione ex art. 709-ter cod. proc. civ., si è sostanzialmente soffermata sulla valutazione del solo comportamento della ricorrente, assumendo che il dedotto suo stato di sofferenza morale e psicologica (peraltro ritenuto non adeguatamente dimostrato) non avrebbe potuto giustificare una scelta unilaterale e grave, come quella da lei posta in essere ed attualmente perseguita, volta a determinare uno sradicamento delle minori dal consueto ambiente familiare (amicale) e scolastico.

Da ciò, scrive la Cassazione, quel giudice ha tratto, evidentemente, il proprio negativo convincimento circa l'inidoneità educativa ovvero la manifesta carenza della medesima ricorrente, senza tuttavia procedere ad una doverosa e concreta ponderazione sulla idoneità del controricorrente.

Occorre ricordare che il diritto alla bigenitorialità disciplinato dalle norme codicistiche è, anzitutto, un diritto del minore prima ancora dei genitori, nel senso che esso deve essere necessariamente declinato attraverso criteri e modalità concrete che siano dirette a realizzare in primis il miglior interesse del minore: il diritto del singolo genitore a realizzare e consolidare relazioni e rapporti continuativi e significativi con il figlio minore presuppone il suo perseguimento nel miglior interesse di quest'ultimo, e assume carattere recessivo se ciò non sia garantito nella fattispecie concreta.

Tale principio, come si è già riferito, è stato già espresso dalla giurisprudenza di legittimità laddove si è ritenuto che il regime legale dell'affidamento condiviso, tutto orientato alla tutela dell'interesse morale e materiale della prole, deve tendenzialmente comportare, in mancanza di gravi ragioni ostative, una frequentazione dei genitori paritaria con il figlio, e che tuttavia, nell'interesse di quest'ultimo, il giudice può individuare un assetto che si discosti da questo principio tendenziale, al fine di assicurare al minore la situazione più confacente al suo benessere ed alla sua crescita armoniosa e serena.

Il principio del superiore interesse del minore, disciplinato dagli artt. 337-ter, c.c., ed 8Cedu, è altresì un principio cardine della Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, ratificata dall'Italia con la L. n. 176 del 1991. 

Esso esprime un diritto sostanziale, cioè il diritto del minorenne a che il proprio superiore interesse sia valutato e considerato preminente quando si prendono in considerazione interessi diversi, al fine di raggiungere una decisione sulla problematica in questione, e la garanzia che tale diritto sarà attuato ogni qualvolta sia necessaria una decisione riguardante un minorenne, un gruppo di minorenni identificati o non identificati, o minorenni in generale.

Inoltre, il miglior interesse del minore configura un principio giuridico interpretativo fondamentale: se una disposizione di legge è aperta a più di un'interpretazione, si dovrebbe scegliere l'interpretazione che corrisponde nel modo più efficace al superiore interesse del minore. Ciò implica anche una regola procedurale: ogni qualvolta sia necessario adottare una decisione che interesserà un minorenne specifico, un gruppo di minorenni identificati o di minorenni in generale, il processo decisionale dovrà includere una valutazione del possibile impatto (positivo o negativo) della decisione sul minorenne o sui minorenni in questione.

Tale complessa e stratificata caratterizzazione del diritto del minore impone, dunque, nell'applicazione delle singole norme, un'interpretazione che valorizzi in ogni caso il miglior interesse del minore, con prevalenza su altri diritti la cui attuazione possa, seppur parzialmente ed indirettamente, comprimerlo.

In conclusione, le norme ed i principi giurisprudenziali tutti in precedenza richiamati mostrano chiaramente che la valutazione del preminente interesse del minore deve avvenire - come si è già detto - non in relazione alla posizione soggettiva dei genitori (o, almeno, non solo in relazione ad essa), bensì con riguardo a quella oggettiva del minore, che deve poter essere realizzata in tempi ragionevoli e con un sufficiente grado di certezza, ricordandosi, altresì, che lo Stato deve fornire sostegno ai genitori nell'esercizio delle responsabilità genitoriali e ristabilire o migliorare la capacità della famiglia di prendersi cura del minorenne, a meno che sia necessario operare diversamente per proteggerlo.