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Estorsione ai danni dell’anziana madre a mezzo di minacce e con violenza fisica, inapplicabile l’art. 649 c.p.

2 agosto 2022

News Regionale - Sicilia ,

Inapplicabile nei confronti dell'imputato la causa di non punibilità di cui all’art. 649 c.p. in quanto lo stesso aveva posto in essere le contestate condotte di estorsione ai danni della madre a mezzo di minacce e con uso di violenza fisica verso le cose, riconoscendo come quest'ultima ben potesse essere fisiologicamente percepita dalla vittima come foriera di sviluppi ulteriori e più gravi per la propria persona e certamente per i propri beni, atteso che la cessazione della violenza veniva conseguita dalla donna ricorrendo alla consegna del denaro al figlio.

Ritiene la Cassazione, in ossequio alla ormai consolidata giurisprudenza di legittimità, che i reati consumati di rapina, estorsione e sequestro di persona a scopo di estorsione sono esclusi dall'area di applicabilità della previsione dell'art. 649 c.p., pur se posti in essere senza violenza alle persone, bensì con la sola minaccia.

Detta interpretazione non si pone in contrasto con i dicta della sentenza della Sez. 2, n. 32354 del 10/05/2013, Gallano, Rv. 255982, che ha affermato che la minaccia non esclude la configurabilità della causa di non punibilità prevista dall'art. 649 c.p. per i reati contro il patrimonio commessi in danno dei prossimi congiunti, in quanto la operatività della stessa è esclusa solo quando il fatto sia stato commesso con violenza fisica.

Nella sentenza n. 29712/2022, dello scorso 26 luglio, la Corte di Cassazione ribadisce i margini di operatività dell’art. 649 c.p., rubricato “Non punibilità e querela della persona offesa, per fatti commessi a danno di congiunti”.

La sentenza Gallano, precisano i Giudici di Piazza Cavour, ha ad oggetto una fattispecie di tentata estorsione commessa con minacce ai danni del coniuge convivente e, pertanto, non può costituire un adeguato fondamento ermeneutico per accertare la disciplina della diversa fattispecie della estorsione consumata in danno del prossimo congiunto a mezzo di sole minacce.

Invero, l'art. 649 c.p., ultimo comma, enuncia una disciplina per il delitto tentato di estorsione autonoma e distinta rispetto a quella del corrispondente delitto consumato. Atteso, infatti, che, il delitto tentato è un reato autonomo e non già una forma minore, incompleta o ridotta del diritto consumato, non può trovare applicazione nella specie il regime tassativamente delineato dal legislatore all'art. 649 c.p., ultimo comma, per il delitto di estorsione, a meno di non accedere ad una interpretazione analogica di una norma evidentemente speciale.

La giurisprudenza di legittimità ha, pertanto, ritenuto, che, non essendo il delitto di tentata estorsione commesso ai danni di prossimi congiunti ricompreso nell'ambito dei reati nominativamente indicati dal legislatore, la non punibilità ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 649 c.p. possa opera esclusivamente ove non si ricada nella previsione di ogni "altro delitto contro il patrimonio commesso con violenza alle persone".

Per i delitti tentati di cui agli artt. 628,629 e 630 c.p., pertanto, la operatività della causa di non punibilità dell'art. 649 c.p. è limitata alle ipotesi nelle quali gli stessi siano stati commessi solo con minaccia e non già ricorrendo alla violenza fisica.

La violenza è, a ben vedere, una fattispecie ben distinta dalla minaccia, sicché quest'ultima non può ritenersi ricompresa nella prima, la quale implica l'esplicazione di un'energia fisica sopraffattrice verso una persona o una cosa; la minaccia è, invece, la prospettazione, anche con gesti, di un male ingiusto futuro con scopo intimidatorio diretto a restringere la libertà psichica o a turbare la tranquillità altrui.

Tale principio di diritto (e, segnatamente, la distinzione tra commissione del reato mediante violenza o minaccia), tuttavia, non opera con riferimento ai delitti consumati nominativamente indicati dalla prima parte dell'ultimo comma dell'art. 649 c.p., quali il delitto di estorsione.

I reati consumati di rapina, estorsione e sequestro di persona a scopo di estorsione sono, infatti, esclusi dall'area di applicabilità della previsione dell'art. 649 c.p., per espressa previsione normativa, pur se posti in essere senza violenza alle persone, bensì con la sola minaccia.

Invero, la locuzione "commesso con violenza alle persone" si riferisce unicamente ad "ogni altro delitto contro il patrimonio" di cui alla seconda parte dell'ultimo comma dell'art. 649 c.p. e, pertanto, tale inciso deve essere riferito ad ogni delitto contro il patrimonio diverso ed ulteriore rispetto ai menzionati delitti di rapina, estorsione e sequestro di persona a scopo di estorsione. Il legislatore, del resto, nel delineare la causa di non punibilità prevista dalla prima parte dell'ultimo comma dell'art. 649 c.p. ha espressamente eccettuato i predetti delitti, senza introdurre alcuna limitazione in relazione alle possibili alternative modalità esecutive degli stessi.

Pertanto, il delitto consumato di estorsione è sempre escluso dall'ambito di operatività della causa di non punibilità di cui all'art. 649 c.p., sia che risulti commesso con violenza fisica, che con minaccia, laddove la tentata estorsione commessa solo con violenza morale (rectius: minaccia) ricade nell'ambito applicativo della seconda parte dell'ultimo comma dell'art. 649 c.p..

Tale assetto normativo non integra alcuna disparità di trattamento rilevante ai sensi dell'art. 3 Cost., in quanto le ipotesi tentate dei delitti comportano una lesione solo "potenziale" del bene giuridico tutelato e, pertanto, non irragionevolmente meritano, nel disegno legislativo, un trattamento meno severo rispetto alle rispettive fattispecie consumate.

Secondo la S.C., la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi in materia, escludendo l'attenuante invocata sulla base del rilievo che il danno rilevante non era soltanto quello patrimoniale, in effetti di modesto importo economico (pari a 30,00 euro), ma anche il pregiudizio connesso alla sofferenza fisica e morale patita dalla vittima per l'aggressione, la cui entità, secondo l'incensurabile apprezzamento congruamente motivato dalla corte di appello, non era suscettibile di una valutazione di lieve consistenza tale da giustificare la concessione della predetta attenuante. In tal senso, si è posto l'accento sull'oggettiva ed allarmante gravità della condotta, la quale costituiva l'ennesimo atto di prevaricazione compiuto dal figlio convivente verso l'anziana madre, totalmente invalida e costretta a versargli tutta l'esigua pensione mensile per evitare le reazioni scomposte e violente dello stesso, unitamente alle plurime e gravi nonché ripetute, offese verbali alla dignità della donna la cui sofferenza morale, concretizza l'entità di un danno alla persona ben maggiore dell'entità della somma estorta, benché non immediatamente e agevolmente monetizzabile.