Assegno divorzile all'ex moglie che a causa di seri problemi di salute vede ridotto il reddito lavorativo. Confermato anche il suo diritto ad ottenere dall'ex marito un contributo per riuscire a sostenere il peso del canone relativo alla casa che ha dovuto prendere in locazione per sé e per i figli.
Questo quanto emerge, in sintesi, dalla recente ordinanza della Cassazione, la n.26347/2022, depositata lo scorso 7 settembre.
Respinte le obiezioni proposte dall’uomo e mirate a sostenere che la donna abbia colpevolmente evitato di attenuare le ripercussioni economiche causate dalla malattia e dalla successiva contrazione del reddito da lavoro.
Dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio, viene fissato in “1.200 euro il contributo del padre al mantenimento dei tre figli che convivono con la madre” e, in aggiunta, viene imposto all'uomo di versare “un contributo di 700 euro mensili” all'ex moglie che “non risiede più nella casa familiare e ha dovuto locare un appartamento per sé e per i figli”.
In Tribunale, poi, viene riconosciuto il diritto della donna a percepire ogni mese “un assegno divorzile di 500 euro”. E in Appello viene portato a 2.000 euro mensili “il contributo dovuto dall'uomo per il mantenimento dei tre figli, maggiorenni ma non ancora autosufficienti economicamente”.
In Cassazione, però, l'uomo ribadisce le sue richieste, cioè “revoca dell'assegno divorzile e del contributo mensile” per il canone di locazione dell'abitazione in cui vivono l'ex moglie e i tre figli.
In tale ottica, egli sostiene che l'ex moglie, pur essendo stata colpita da una patologia abbastanza grave e seria e dovendo far fronte a una “riduzione dell'orario lavorativo”, si è mostrata inerte nel “richiedere le prestazioni previdenziali e assistenziali che avrebbero attenuato o eliso le conseguenze negative sul suo reddito” provocate dalla “riduzione dell'orario di lavoro”.
I giudici di Piazza Cavour ribattono, sottolineando la gravissima malattia che ha colpito la donna e la conseguente “riduzione dell'orario di lavoro”.
Queste due circostanze, di fatto, rendono non decisivo “l'accertare se la donna si sia vista ridurre l'orario di lavoro in conseguenza del peggioramento del suo stato di salute o, diversamente, in conseguenza delle esigenze di riorganizzazione aziendale del datore di lavoro»”. In primo piano, a ben vedere, è la circostanza per cui la donna, in seguito alla gravissima diagnosticata patologia, non ha mancato di presentare domanda di riconoscimento di invalidità civile, domanda tuttavia disattesa, essendo stata accertata una riduzione permanente della sua capacità lavorativa inferiore al 74%.
In conclusione, è acclarato che “la riduzione dell'orario lavorativo – e, quindi, del reddito da lavoro – della donna” è connessa alle sue “condizioni di salute”.