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Separazione, la moglie ricca deve garantire il tenore di vita matrimoniale al marito

19 settembre 2022

News Regionale - Sicilia ,

A seguito della separazione, la moglie benestante deve versare al marito, che ha lasciato il proprio lavoro per dedicarsi alla cura del figlio, un assegno tale da garantirgli il tenore di vita goduto in costanza del matrimonio. Lo ha statuito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26890 depositata lo scorso 13 settembre, accogliendo con rinvio, il ricorso dell'uomo.

Nei fatti oggetto della decisione è il marito che ha smesso di lavorare (specificamente ricopriva una posizione di grande rilievo come manager informatico) per dedicarsi al figlio. Ma quando il matrimonio si è concluso, non riesce più concretamente a trovare un’occupazione, perché rimasto troppo tempo a casa e fuori dal mondo del lavoro. Per l’esattezza, dieci anni.

La Corte di appello di Milano aveva ridotto di cinque volte l'assegno, portandolo da 1.500 a 300 euro. Secondo il giudice di secondo grado, infatti, all'epoca della separazione nel 2012, l'uomo aveva quarantasette anni ed era "dotato di piena capacità lavorativa e notevole professionalità, avendo goduto di un ottimo stipendio fino al 2007", quando aveva lasciato il lavoro per dedicarsi all'accudimento del figlio (bisognoso di sostegno e di essere seguito nelle attività sportive) e alla cura della "prestigiosa abitazione coniugale acquistata con proventi della moglie". Egli dunque, sempre secondo la Corte territoriale, “era dotato di tutte le risorse personali e professionali per provvedere autonomamente al proprio dignitoso mantenimento”. Né, del resto, aveva dimostrato che le somme erogate dalla moglie (indicate in circa 10.000,00 euro al mese) "servissero per le proprie esigenze personali piuttosto che per i bisogni del figlio". E se è vero che il suo tenore di vita aveva subito “un rilevante ridimensionamento, con la perdita dell'abitazione familiare”, l'assegno mensile di 300,00 euro serviva proprio a reperire una nuova abitazione.

Per la Prima sezione civile, tuttavia, il criterio adottato per la quantificazione del contributo di mantenimento "non è quello seguito dalla giurisprudenza di legittimità". Per la Suprema corte, invero, vale il diverso principio per cui i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell'art. 156 c.c., l'assegno di mantenimento a favore del coniuge separato, in assenza della condizione ostativa dell'addebito, "sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio nella fase temporanea della separazione, stante la permanenza del vincolo coniugale e l'attualità del dovere di assistenza materiale, derivando dalla separazione - a differenza di quanto accade con l'assegno divorzile che postula lo scioglimento del vincolo coniugale - solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione".

In questo senso, prosegue la decisione, il contributo di mantenimento per l'ex marito "non è stato quantificato in misura idonea a garantirgli, in via tendenziale, la conservazione del tenore di vita matrimoniale" che aveva subito un "rilevante ridimensionamento dopo la separazione", ma soltanto "a consentirgli di procurarsi una abitazione, nell'ottica di un aiuto a provvedere al proprio dignitoso mantenimento". Nonostante la moglie continuasse a "contare su notevoli risorse a sua disposizione".