Ai fini della sussistenza del reato di molestie di cui all’art. 660 c.p. attraverso l'invio di sms e messaggi WhatsApp, ciò che rileva è il carattere invasivo della comunicazione non vocale, rappresentato dalla percezione immediata da parte del destinatario dell'avvertimento acustico che indica l'arrivo del messaggio, ma anche dalla percezione immediata e diretta del suo contenuto o di parte di esso, attraverso l'anteprima di testo che compare sulla schermata di blocco.
In tal modo, invero, si realizza in concreto una diretta e immediata intrusione del mittente nella sfera delle attività del ricevente.
La precisazione giunge direttamente dalla Corte di Cassazione, sezione Penale, mediante sentenza n. 34821/2022, depositata lo scorso 20 settembre.
Come è noto, la disposizione di cui all’articolo 660 del codice penale disciplina la fattispecie di molestia o disturbo alle persone (“Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda fino a euro 516”).
Il carattere invasivo della messaggistica telematica, puntualizzano i Giudici di Piazza Cavour, non può essere escluso per la circostanza che il destinatario di messaggi non desiderati, inviati da un determinato utente (sgradito), possa evitarne agevolmente la ricezione, senza compromettere in alcun modo la propria libertà di comunicazione, semplicemente escludendo o bloccando il contatto indesiderato.
In estrema sintesi, secondo la Suprema Corte, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 660 cod. pen. commesso attraverso il mezzo del telefono, ciò che rileva è il carattere invasivo del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario, e non la possibilità per quest'ultimo di interrompere o prevenire l'azione perturbatrice, escludendo o bloccando il contatto o l'utenza non gradita. Dunque, da ciò deriva che costituisce molestia anche l'invio di messaggi telematici, siano essi di testo (SMS) o messaggi whatsapp.
Nella vicenda in questione, peraltro, il soggetto si era reso protagonista, oltre all’invio dei messaggi su whatsapp, anche di telefonate e appostamenti veri e propri. Per il Collegio, le condotte poste in essere dal soggetto non possono che integrare le molestie ai danni della persona offesa.