Il difficile contesto territoriale, caratterizzato da disoccupazione e lavoro in nero, deve spingere i giovani a puntare su strumenti di sostegno sociale e a smettere di fare affidamento sulle disponibilità economiche dei genitori.
Lo precisa nuovamente la Corte di Cassazione, mediante ordinanza n. 29264/2022, depositata lo scorso 7 ottobre.
Contesto della delicata vicenda analizzata dai giudici di Piazza Cavour è il Sud dell'Italia. All’origine della vicenda giudiziaria vi è un uomo, un padre, colpito da disabilità, il quale chiede la revoca dell'assegno di mantenimento riconosciuto alla figlia che ha ormai quasi 30 anni.
La Corte d'appello di Napoli, pronunciando in sede di reclamo, ha respinto la domanda per la revoca dell'assegno di mantenimento in favore della figlia.
La Corte ha motivato la decisione osservando che il diritto al mantenimento era stato sancito con la sentenza di divorzio quando già sussisteva la condizione di amministrato dell'istante, e ancorché' la figlia, all'epoca ventiduenne e munita di semplice licenzia media, non fosse impiegata in attività lavorative, avendo abbandonato un corso di estetista; sicche' tale circostanza non poteva dirsi nuova ai fini della pronuncia di revoca.
Ha soggiunto che la figlia aveva dichiarato di essersi prodigata nella ricerca di un'occupazione, e che aveva in effetti lavorato al nero presso l'impresa di pulizie dei nonni materni e poi presso l'esercizio commerciale della madre, con compensi settimanali di 50,00 EUR, del tutto insufficienti a renderla economicamente autonoma. Ha quindi svolto la considerazione per cui il semplice progredire dell’età della figlia, nell'invariata condizione di giovane munita di capacità lavorativa generica, utilizzata in lavori al nero insufficientemente retribuiti nelle persistenti condizioni negative del mercato del lavoro al sud d'Italia, non poteva costituire motivo sopravvenuto di revoca dell'assegno; il raggiungimento dell'indipendenza economica non poteva dirsi dimostrato neppure dalla nascita di una bimba, avendo ella continuato a vivere con la madre; né poteva dirsi correlato all'impegno di mantenimento del compagno, visto che pure lui, sebbene lavorando come pizzaiolo, aveva continuato a vivere nella sua casa familiare.
La Cassazione rammenta il principio secondo il quale, in caso di figlio maggiorenne e non autosufficiente, i presupposti su cui si fonda l'esclusione del diritto al mantenimento, che debbono costituire oggetto di accertamento da parte del giudice del merito e della cui prova è gravato il genitore che si oppone alla domanda, sono integrati: (a) dall’età del figlio, destinata a rilevare in un rapporto di proporzionalità inversa per il quale, all’età progressivamente più elevata dell'avente diritto si accompagna, tendenzialmente e nel concorso degli altri presupposti, il venir meno del diritto al conseguimento del mantenimento; (b) dall'effettivo raggiungimento di un livello di competenza professionale e tecnica del figlio e dal suo impegno rivolto al reperimento di una occupazione nel mercato del lavoro (v. Cass. Sez. 1 n. 17183-20).
Tuttavia il figlio di genitori divorziati, che abbia ampiamente superato la maggiore età, e non abbia reperito una occupazione lavorativa stabile o che, comunque, lo remuneri in misura tale da renderlo economicamente autosufficiente, non può soddisfare l'esigenza a una vita dignitosa, alla cui realizzazione ogni giovane adulto deve aspirare, mediante l'attuazione mera dell'obbligo di mantenimento del genitore, quasi che questo sia destinato ad andare avanti per sempre; egli deve far fronte al suo stato attraverso i diversi strumenti di ausilio, ormai di dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al reddito.
Resta ferma solo l'obbligazione alimentare, da azionarsi nell'ambito familiare per supplire a ogni più essenziale esigenza di vita dell'individuo bisognoso (v. Cass. Sez. 1 n. 38366-21, nonché', in analoga direzione, Cass. Sez. 1 n. 10455-22).
In conclusione, si legge nell’ordinanza, il decreto della Corte d'appello di Napoli non appare coerente coi citati principi, che in questa sede ulteriormente si ribadiscono. Difatti, anche sorvolando sulla deficitaria linearità logica dell'accertamento della non raggiunta indipendenza economica e dell'impegno di reperire un lavoro, desunti da semplici dichiarazioni di parte, è certa l'inadeguatezza del riferimento alla ininfluenza del progredire dell’età della figlia (oggi prossima ai trent'anni) e della sua attuale condizione di madre.
Le stesse circostanze menzionate nella motivazione ne danno dimostrazione, poiché le considerazioni di ordine sociologico, a proposito delle condizioni nel mercato del lavoro del meridione d'Italia, non ottengono di motivare la persistenza di un obbligo di mantenimento da parte del genitore sottoposto ad amministrazione di sostegno per disabilità; esse stesse sarebbero indicative, semmai, della necessità della figlia di far ricorso, con un minimo di responsabilità, agli strumenti di sostegno sociale, in aggiunta alla dedotta condizione di persona non stabilmente occupata in un’attività di lavoro.